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Invertire la tendenza finanziaria per i piccoli Stati insulari

NASSAU/MALÉ – I piccoli Stati insulari in via di sviluppo sono in prima linea nel cambiamento climatico, minacciati dall’innalzamento del livello del mare, da eventi meteorologici estremi, dal riscaldamento e dall’acidificazione degli oceani, nonostante contribuiscano in misura minore alle emissioni globali di gas serra. Tutto ciò rappresenta un rischio esistenziale per il nostro stile di vita, per i nostri mezzi di sostentamento e per la terra stessa sotto i nostri piedi.

Data la nostra sproporzionata dipendenza dall’oceano, questi paesi insulari si trovano in una posizione unica per preservare questa fragile ma essenziale risorsa: ospitano il 40% delle barriere coralline del mondo, che inglobano un quarto di tutta la vita marina e contribuiscono direttamente al sostentamento di 500 milioni di persone. Tuttavia, anche se i nostri ecosistemi svolgono un ruolo cruciale nella mitigazione e nell’adattamento al clima globale, questi paesi insulari devono affrontare cicli di feedback negativi dovuti a una serie di sfide economiche e ambientali interconnesse.

Nelle Maldive, che comprendono quasi 1.200 isole e contengono il 3% delle barriere coralline del pianeta, la pesca e il turismo rappresentano fino al 36% del Pil, mentre circa il 98% delle esportazioni deriva dall’oceano. Poiché l’economia dipende dalla salute delle barriere coralline e della vita marina, l’aumento dello sbiancamento dei coralli e la diminuzione degli stock ittici rappresentano un problema economico. Inoltre, il cambiamento climatico ha portato alla scarsità di acqua dolce, costringendo le Maldive ad affidarsi all’acqua in bottiglia e aumentando così il flusso di rifiuti di plastica nell’oceano.

Una storia simile è quella delle Bahamas, che sono composte da 700 isole e vantano la terza barriera corallina più grande del mondo. Il turismo è ancora più centrale nell’economia delle Bahamas, rappresentando circa il 50% del Pil e impiegando quasi il 70% della forza lavoro. Tuttavia, nonostante il suo ruolo economico essenziale, il turismo ha le sue sfide, come ad esempio, le navi da crociera che scaricano plastica, carburante e altri rifiuti nell’oceano, degradando le stesse risorse che attraggono i visitatori.

In molti paesi insulari in via di sviluppo, l’oceano funge anche da importante via di comunicazione. Per una popolazione distribuita su atolli o su un arcipelago, il movimento di persone e beni essenziali, tra cui cibo, forniture mediche, acqua potabile e carburante, dipende dalle navi postali e dalle chiatte tra le isole, che sono particolarmente vulnerabili alle condizioni meteorologiche avverse. Eventi meteorologici sempre più frequenti e severi, quale conseguenza del cambiamento climatico, potrebbero lasciare le comunità con scorte insufficienti e con l’incertezza di quando arriverà la prossima spedizione.

Oltre a interrompere le filiere, i disastri climatici possono distruggere le infrastrutture. L’anno scorso, St. Vincent e Grenadine ha subito danni economici stimati in 230 milioni di dollari, pari al 22% del suo Pil, a causa dell’uragano Beryl, mentre l’uragano Dorian ha spazzato via oltre il 25% del Pil delle Bahamas nel 2019. La Dominica ha subito un destino ancora peggiore nel 2017, quando l’uragano Maria ha danneggiato o distrutto il 95% del patrimonio abitativo e ha causato perdite economiche pari al 226% del Pil. Questi eventi catastrofici sconvolgono ogni aspetto della vita nelle nostre isole e gli alti costi di ricostruzione provocano un altro circolo di feedback negativo: le maggiori perdite economiche dovute alle infrastrutture vulnerabili riducono la nostra capacità di investire nella resilienza.

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Nelle Maldive il 35% dei finanziamenti per l’adattamento al clima proviene dal bilancio nazionale, mentre il 34% proviene da prestiti che alla fine dovranno essere restituiti. Questi esborsi distolgono risorse da altre necessità urgenti, come il miglioramento dei servizi educativi e sanitari e il rafforzamento della governance democratica. Inoltre, la pressione finanziaria esercitata dagli shock climatici rende più allettanti le attività minerarie di esplorazione in alto mare e altre iniziative rischiose come soluzione a breve termine per aumentare le entrate, nonostante i danni a lungo termine all’ambiente marino.

La chiave per spezzare questi anelli di retroazione è l’aumento dei finanziamenti. Il problema è che molti paesi insulari in via di sviluppo sono in difficoltà o a rischio di indebitamento, il che rende proibitivi nuovi prestiti. Anche i Paesi che sono usciti dallo status di “Paese meno sviluppato” faticano ad assicurarsi investimenti sufficienti, poiché non possono più accedere a varie agevolazioni e finanziamenti agevolati. Gli Stati insulari in via di sviluppo rischiano quindi di entrare in una spirale del debito.

Una soluzione promettente è quella di aumentare l’uso di obbligazioni verdi e blu, che forniscono finanziamenti più accessibili per l’adattamento al clima e la conservazione della biodiversità, consentendo a questi paesi di proteggere gli ecosistemi critici e di costruire la resilienza economica. Nelle Bahamas, ad esempio, il progetto Nature Bonds, annunciato di recente e frutto di una collaborazione intersettoriale tra banche, Ong e governo bahamiano, dovrebbe generare una cifra stimata di 124 milioni di dollari per la conservazione dell’ambiente marino nei prossimi 15 anni, senza aggravare l’onere del debito del Paese. Programmi come il Blue Bond Accelerator della Ocean Risk and Resilience Action Alliance, una nuova organizzazione senza scopo di lucro che supporta governi, emittenti privati e investitori nella strutturazione di questi strumenti, contribuiranno a sbloccare capitali a lungo termine per questi paesi.

Altrettanto interessanti sono i crediti di biodiversità e di carbonio, che riconoscono il ruolo essenziale dei paesi insulari in via di sviluppo nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Le barriere coralline, le mangrovie e le fanerogame di queste isole sono importanti depositi di biodiversità e carbonio, che assorbono grandi quantità di CO2 e forniscono preziosi benefici economici. L’inclusione di questi contributi nei mercati dei crediti volontari e di conformità svilupperebbe nuovi flussi di finanziamento, garantendo loro una ricompensa finanziaria per i loro interventi di conservazione.

Con questi strumenti, gli Stati insulari in via di sviluppo possono sfruttare i nostri straordinari ecosistemi e le nostre risorse naturali per ottenere un futuro più resiliente e sostenibile. Certo, questi Paesi sono in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, ma ospitano anche alcune delle risorse naturali più preziose del mondo. La conservazione di queste preziose risorse richiede strategie economiche sostenibili, soluzioni finanziarie innovative e, cosa forse più importante, un sostegno internazionale coordinato.

Traduzione di Simona Polverino

https://prosyn.org/lavqQKFit