MANILA/SANTIAGO – Il Fondo monetario internazionale sembra determinato a disperdere uno dei migliori esempi di cooperazione internazionale quale risposta alle difficoltà economiche prodotte dalla pandemia del Covid-19 e dal cambiamento climatico. Bisogna invertire questa tendenza prima che sia troppo tardi.
Lo stanziamento di 650 miliardi di dollari ad agosto da parte dell’FMI in termini di diritti speciali di prelievo (i DSP, ovvero le attività di riserva del Fondo) è stato decisamente incoraggiato e accolto con grande favore. Viste le rigide norme dell’FMI, era chiaro sin dall’inizio che la maggioranza dei DSP sarebbero andati a paesi che non ne avevano bisogno. Di conseguenza, i leader del G7 si sono impegnati a reindirizzare più di 100 miliardi di dollari dei loro stanziamenti verso “i paesi che hanno maggiormente bisogno di...(sostegno alla) pandemia per stabilizzare le loro economie e attivare una ripresa verde e globale...in linea con gli obiettivi condivisi su clima e sviluppo.”
Se da un lato queste azioni sembrano limitate se paragonate ai 17 trilioni di dollari che i paesi ricchi hanno speso per sostenere le loro economie durante la pandemia, sono state comunque importanti. In ottobre, solo due mesi dopo questo stanziamento, il G20 ha appoggiato un piano guidato dall’FMI e dalla Banca mondiale volto a sviluppare e a implementare un Fondo fiduciario per la resilienza e la sostenibilità (RST), che permetterebbe ai paesi ricchi di direzionare i loro aiuti verso i paesi a basso e a medio reddito che sono maggiormente vulnerabili rispetto agli shock economici. Vista la possibilità di utilizzare il fondo anche per gestire i rischi relativi al cambiamento climatico, l’RST aiuterebbe a colmare un’evidente lacuna nell’ambito della finanza internazionale. A tale proposito, l’FMI ha annunciato che presenterà una proposta durante gli incontri previsti nella primavera del 2022.
Ma sarà sufficiente?
Gli eventi atmosferici estremi, come le alluvioni e gli uragani, possono comportare instabilità finanziaria nei paesi vulnerabili in quanto comportano la cancellazione del capitale azionario e delle fonti di valuta estera. Allo stesso modo, i paesi dipendenti dalle esportazioni di carburante fossile si trovano ad affrontare un’incertezza fiscale di fronte alla riduzione della domanda di petrolio e gas legata al raggiungimento degli obiettivi climatici. In entrambi i casi, gli effetti della ricaduta possono influenzare negativamente il commercio, pertanto i paesi che si trovano ad affrontare queste circostanze devono necessariamente trasformare le proprie economie. Tuttavia, molti paesi a reddito medio e basso non hanno accesso ai finanziamenti flessibili e accessibili di cui hanno bisogno.
Un RST ben progettato renderebbe più flessibili i criteri dell’FMI per lo stanziamento delle risorse e l’idoneità dei paesi. Purtoppo ci sono cinque inesattezze di progettazione nell’approccio dell’FMI che possono rendere il fondo inefficace per la maggior parte dei paesi vulnerabili al clima.
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La prima inesattezza riguarda l’idoneità. I programmi FMI sono infatti discriminanti in termini di reddito, ma il cambiamento climatico non lo è. Mentre il G20 ha esplicitamente chiesto l’istituzione di un RST in grado di sostenere i paesi a basso e medio reddito vulnerabili al clima, l’FMI ha applicato un’interpretazione restrittiva secondo cui i paesi a medio reddito possono essere idonei solo se non eccedono una certa soglia di reddito.
Ma le misure tradizionali di reddito rappresentano un criterio inadeguato al fine di determinare l’idoneità. L’FMI deve adeguare il suo pensiero alle circostanze attuali e garantire che l’idoneità si basi sulla vulnerabilità climatica. Non dovrebbe infatti essere problematico inserire nei criteri esistenti delle misure semplici come la suscettibilità ai rischi fisici legati al clima, ovvero le alluvioni, le siccità e gli uragani, o dei fattori economici come la percentuale delle esportazioni di carburante fossile rispetto alle entrate totali in valuta estera.
In secondo luogo, c’è un problema con i termini di accessibilità ai fondi. I paesi in via di sviluppo non hanno lo spazio fiscale adeguato per mobilitare le risorse nazionali al fine di gestire i cambiamenti strutturali che le loro economie necessitano. Molti non hanno neanche accesso a risorse esterne rispetto alle condizioni di prestito. Ciò nonostante, l’FMI propone che agli utilizzatori del fondo venga addebiato sia il tasso d’interesse dei diritti speciali di prelievo (attualmente pari a cinque punti base e comunque in salita) sia un margine pari a un valore che può arrivare fino a 100 punti base. Ancor più problematici sono i limiti di accesso, pari al 100% della quota o a un valore inferiore dell’equivalente di 1 miliardo di dollari dei diritti speciali di prelievo. Queste linee guida sosterrebbero in modo significativo solo i bisogni di finanziamento dei paesi più piccoli.
La terza inesattezza è l’insistenza da parte dell’FMI sulla condizionalità. L’FMI considera infatti l’RST come uno schema di integrazione finanziaria dei programmi già esistenti; il che è profondamente sbagliato. Secondo una ricerca dello stesso FMI, i suoi dispositivi di finanziamento vengono stigmatizzati a causa dei loro livelli elevati di condizionalità e dei livelli bassi di prestazione rispetto alla ripresa economica e ad altri risultati a livello sociale. L’RST sarebbe quindi dovuto essere uno strumento nuovo in grado di riconoscere e direzionare le risorse verso i paesi più vulnerabili rispetto al cambiamento climatico, ma di fatto il piano dell’FMI è quello di riconfezionare i programmi già esistenti.
[Grafico 1]
Le immagini 1 e 2 mostrano che i paesi vulnerabili al clima non hanno utilizzato il sostegno dell’FMI neppure durante la pandemia, ovvero quando il Fondo poteva garantire l’utilizzo più ampio dei suoi strumenti. Aggiungere una piccola somma integrativa allo stesso prezzo e allo stesso livello di condizionalità non farà altro che impedire l’accesso alla maggior parte dei finanziamenti che sono estremamente necessari per sviluppare la resilienza climatica.
[Grafico 2]
La quarta inesattezza è rappresentata dal fatto che, sebbene l’FMI stia solo ora delineando una strategia per la gestione del cambiamento climatico, sarebbe comunque a capo dell’RST. Tuttavia, anche le banche per lo sviluppo multilaterale e regionale sono istituzioni autorizzate a prescrivere i diritti speciali di prelievo e, oltre ad essere molto più lungimiranti, hanno anche una grande esperienza di politiche sul clima. Per questo devono necessariamente essere coinvolte nella governance del fondo fiduciario.
Infine, c’è una questione legata alle dimensioni del fondo. L’Amministratore delegato dell’FMI, Kristalina Georgieva, ha annunciato che l’RST verrà finanziato inizialmente con circa 30 miliardi di dollari per poi arrivare a 50 miliardi di dollari. Se da un lato non ci si può aspettare che l’RST possa sostituire i finanziamenti necessari a gestire gli effetti sempre più importanti del cambiamento climatico, dall’altro lato la valutazione dei bisogni del Comitato Permanente per il finanziamento della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico ha indicato 6 trilioni di dollari come cifra necessaria, mentre altre stime indicano cifre ben più elevate. Durante la recente Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP26), il Primo Ministro delle Barbados, Mia Amor Mottley, il cui paese è tra i più vulnerabili al mondo, ha proposto un aumento annuale in termini di diritti speciali di prelievo pari a 500 miliardi di dollari per 20 anni al fine di finanziare la resilienza e la sostenibilità.
Gli azionisti e le parti interessate dell’FMI dovrebbero pertanto riconsiderare il progetto dell’RST. Affinché il fondo sia efficace, deve poter comprendere tutti i paesi in via di sviluppo vulnerabili al clima indipendentemente dal reddito. Dovrebbe inoltre garantire dei finanziamenti a basso costo che non indeboliscano la sostenibilità del debito e che non siano legati a programmi dell’FMI già esistenti con condizionalità onerose. Dovrebbe poi essere governato dalle principali parti interessate delle istituzioni per lo sviluppo dei finanziamenti e dovrebbe infine garantire un aumento adeguato della sua disponibilità finanziaria nel tempo.
E’quindi necessario che l’FMI apporti delle modifiche alla sua proposta dell’RST e qualora non riuscisse a farlo i paesi creditori dovrebbero astenersi dal finanziarlo.
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MANILA/SANTIAGO – Il Fondo monetario internazionale sembra determinato a disperdere uno dei migliori esempi di cooperazione internazionale quale risposta alle difficoltà economiche prodotte dalla pandemia del Covid-19 e dal cambiamento climatico. Bisogna invertire questa tendenza prima che sia troppo tardi.
Lo stanziamento di 650 miliardi di dollari ad agosto da parte dell’FMI in termini di diritti speciali di prelievo (i DSP, ovvero le attività di riserva del Fondo) è stato decisamente incoraggiato e accolto con grande favore. Viste le rigide norme dell’FMI, era chiaro sin dall’inizio che la maggioranza dei DSP sarebbero andati a paesi che non ne avevano bisogno. Di conseguenza, i leader del G7 si sono impegnati a reindirizzare più di 100 miliardi di dollari dei loro stanziamenti verso “i paesi che hanno maggiormente bisogno di...(sostegno alla) pandemia per stabilizzare le loro economie e attivare una ripresa verde e globale...in linea con gli obiettivi condivisi su clima e sviluppo.”
Se da un lato queste azioni sembrano limitate se paragonate ai 17 trilioni di dollari che i paesi ricchi hanno speso per sostenere le loro economie durante la pandemia, sono state comunque importanti. In ottobre, solo due mesi dopo questo stanziamento, il G20 ha appoggiato un piano guidato dall’FMI e dalla Banca mondiale volto a sviluppare e a implementare un Fondo fiduciario per la resilienza e la sostenibilità (RST), che permetterebbe ai paesi ricchi di direzionare i loro aiuti verso i paesi a basso e a medio reddito che sono maggiormente vulnerabili rispetto agli shock economici. Vista la possibilità di utilizzare il fondo anche per gestire i rischi relativi al cambiamento climatico, l’RST aiuterebbe a colmare un’evidente lacuna nell’ambito della finanza internazionale. A tale proposito, l’FMI ha annunciato che presenterà una proposta durante gli incontri previsti nella primavera del 2022.
Ma sarà sufficiente?
Gli eventi atmosferici estremi, come le alluvioni e gli uragani, possono comportare instabilità finanziaria nei paesi vulnerabili in quanto comportano la cancellazione del capitale azionario e delle fonti di valuta estera. Allo stesso modo, i paesi dipendenti dalle esportazioni di carburante fossile si trovano ad affrontare un’incertezza fiscale di fronte alla riduzione della domanda di petrolio e gas legata al raggiungimento degli obiettivi climatici. In entrambi i casi, gli effetti della ricaduta possono influenzare negativamente il commercio, pertanto i paesi che si trovano ad affrontare queste circostanze devono necessariamente trasformare le proprie economie. Tuttavia, molti paesi a reddito medio e basso non hanno accesso ai finanziamenti flessibili e accessibili di cui hanno bisogno.
Un RST ben progettato renderebbe più flessibili i criteri dell’FMI per lo stanziamento delle risorse e l’idoneità dei paesi. Purtoppo ci sono cinque inesattezze di progettazione nell’approccio dell’FMI che possono rendere il fondo inefficace per la maggior parte dei paesi vulnerabili al clima.
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La prima inesattezza riguarda l’idoneità. I programmi FMI sono infatti discriminanti in termini di reddito, ma il cambiamento climatico non lo è. Mentre il G20 ha esplicitamente chiesto l’istituzione di un RST in grado di sostenere i paesi a basso e medio reddito vulnerabili al clima, l’FMI ha applicato un’interpretazione restrittiva secondo cui i paesi a medio reddito possono essere idonei solo se non eccedono una certa soglia di reddito.
Ma le misure tradizionali di reddito rappresentano un criterio inadeguato al fine di determinare l’idoneità. L’FMI deve adeguare il suo pensiero alle circostanze attuali e garantire che l’idoneità si basi sulla vulnerabilità climatica. Non dovrebbe infatti essere problematico inserire nei criteri esistenti delle misure semplici come la suscettibilità ai rischi fisici legati al clima, ovvero le alluvioni, le siccità e gli uragani, o dei fattori economici come la percentuale delle esportazioni di carburante fossile rispetto alle entrate totali in valuta estera.
In secondo luogo, c’è un problema con i termini di accessibilità ai fondi. I paesi in via di sviluppo non hanno lo spazio fiscale adeguato per mobilitare le risorse nazionali al fine di gestire i cambiamenti strutturali che le loro economie necessitano. Molti non hanno neanche accesso a risorse esterne rispetto alle condizioni di prestito. Ciò nonostante, l’FMI propone che agli utilizzatori del fondo venga addebiato sia il tasso d’interesse dei diritti speciali di prelievo (attualmente pari a cinque punti base e comunque in salita) sia un margine pari a un valore che può arrivare fino a 100 punti base. Ancor più problematici sono i limiti di accesso, pari al 100% della quota o a un valore inferiore dell’equivalente di 1 miliardo di dollari dei diritti speciali di prelievo. Queste linee guida sosterrebbero in modo significativo solo i bisogni di finanziamento dei paesi più piccoli.
La terza inesattezza è l’insistenza da parte dell’FMI sulla condizionalità. L’FMI considera infatti l’RST come uno schema di integrazione finanziaria dei programmi già esistenti; il che è profondamente sbagliato. Secondo una ricerca dello stesso FMI, i suoi dispositivi di finanziamento vengono stigmatizzati a causa dei loro livelli elevati di condizionalità e dei livelli bassi di prestazione rispetto alla ripresa economica e ad altri risultati a livello sociale. L’RST sarebbe quindi dovuto essere uno strumento nuovo in grado di riconoscere e direzionare le risorse verso i paesi più vulnerabili rispetto al cambiamento climatico, ma di fatto il piano dell’FMI è quello di riconfezionare i programmi già esistenti.
[Grafico 1]
Le immagini 1 e 2 mostrano che i paesi vulnerabili al clima non hanno utilizzato il sostegno dell’FMI neppure durante la pandemia, ovvero quando il Fondo poteva garantire l’utilizzo più ampio dei suoi strumenti. Aggiungere una piccola somma integrativa allo stesso prezzo e allo stesso livello di condizionalità non farà altro che impedire l’accesso alla maggior parte dei finanziamenti che sono estremamente necessari per sviluppare la resilienza climatica.
[Grafico 2]
La quarta inesattezza è rappresentata dal fatto che, sebbene l’FMI stia solo ora delineando una strategia per la gestione del cambiamento climatico, sarebbe comunque a capo dell’RST. Tuttavia, anche le banche per lo sviluppo multilaterale e regionale sono istituzioni autorizzate a prescrivere i diritti speciali di prelievo e, oltre ad essere molto più lungimiranti, hanno anche una grande esperienza di politiche sul clima. Per questo devono necessariamente essere coinvolte nella governance del fondo fiduciario.
Infine, c’è una questione legata alle dimensioni del fondo. L’Amministratore delegato dell’FMI, Kristalina Georgieva, ha annunciato che l’RST verrà finanziato inizialmente con circa 30 miliardi di dollari per poi arrivare a 50 miliardi di dollari. Se da un lato non ci si può aspettare che l’RST possa sostituire i finanziamenti necessari a gestire gli effetti sempre più importanti del cambiamento climatico, dall’altro lato la valutazione dei bisogni del Comitato Permanente per il finanziamento della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico ha indicato 6 trilioni di dollari come cifra necessaria, mentre altre stime indicano cifre ben più elevate. Durante la recente Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP26), il Primo Ministro delle Barbados, Mia Amor Mottley, il cui paese è tra i più vulnerabili al mondo, ha proposto un aumento annuale in termini di diritti speciali di prelievo pari a 500 miliardi di dollari per 20 anni al fine di finanziare la resilienza e la sostenibilità.
Gli azionisti e le parti interessate dell’FMI dovrebbero pertanto riconsiderare il progetto dell’RST. Affinché il fondo sia efficace, deve poter comprendere tutti i paesi in via di sviluppo vulnerabili al clima indipendentemente dal reddito. Dovrebbe inoltre garantire dei finanziamenti a basso costo che non indeboliscano la sostenibilità del debito e che non siano legati a programmi dell’FMI già esistenti con condizionalità onerose. Dovrebbe poi essere governato dalle principali parti interessate delle istituzioni per lo sviluppo dei finanziamenti e dovrebbe infine garantire un aumento adeguato della sua disponibilità finanziaria nel tempo.
E’quindi necessario che l’FMI apporti delle modifiche alla sua proposta dell’RST e qualora non riuscisse a farlo i paesi creditori dovrebbero astenersi dal finanziarlo.
Gli autori sono membri della task force sul clima, sullo sviluppo e sul Fondo monetario internazionale.
Traduzione di Marzia Pecorari