BERLINO/PARIGI – L'Unione Europea si è impegnata a eliminare le emissioni di gas serra entro il 2050 e ci sono forti segnali che fanno pensare che i politici dell’Unione approveranno un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040. La scienza è chiara su ciò che deve essere fatto per limitare il riscaldamento globale a 1,5º Celsius al di sopra dei livelli preindustriali: tagli rapidi e drastici alle emissioni e la rimozione di 6-10 gigatoni di anidride carbonica dall'atmosfera su base annuale. Eppure il primo aspetto riceve molta più attenzione del secondo.
Questa situazione deve cambiare e deve farlo rapidamente. L'eliminazione della CO2 richiederà un aumento degli investimenti nelle tecnologie di rimozione del carbonio dagli attuali 5-13 miliardi di dollari a 6-16 mila miliardi di dollari entro il 2050. Per fare un paragone, si tratta di una cifra pari almeno al doppio dei ricavi generati ogni anno dall'industria del petrolio e del gas.
Al di là dell'obbligo morale (anche se sarebbe meglio dire esistenziale) di proteggere il clima, esiste una motivazione commerciale per l'impiego di tecnologie per la rimozione del carbonio in tutta l'UE. Entro il 2050 infatti, un'industria globale per la rimozione del carbonio in grado di eliminare le emissioni potrebbe avere un valore compreso tra i 300 miliardi e i 1.200 triliardi di dollari.
Al di là degli investimenti del settore pubblico e privato, i mercati del carbonio, che regolano l’acquisto da parte delle aziende di crediti per compensare le proprie emissioni, sono emersi come una delle più importanti fonti di finanziamento per i progetti di riduzione del carbonio. Applicando un prezzo al carbonio, le imprese sono incentivate a migliorare l'efficienza energetica e a sviluppare e implementare delle soluzioni verdi in tutte le loro attività.
Oggi esistono principalmente due approcci alla tassazione del carbonio: i mercati del carbonio obbligatori e quelli volontari. Il mercato obbligatorio è regolato da regimi vincolanti di riduzione delle emissioni di carbonio, principalmente rivolti alle industrie ad alta emissione, come l'acciaio, il petrolio e i trasporti, mentre il mercato volontario opera in modo indipendente, senza una diretta supervisione normativa.
Il sistema di scambio di quote di emissione (ETS) dell' UE, ovvero il mercato obbligatorio del blocco UE, funziona secondo il principio del "cap-and-trade", in base al quale le imprese di settori specifici ricevono delle quote di emissioni la cui fornitura è limitata a un livello tale da ridurre le emissioni totali di CO2. Queste imprese possono vendere le quote non utilizzate sul mercato, e spesso le vendono a società a cui ne servono di nuove.
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I mercati volontari del carbonio, invece, consentono alle imprese e ai privati di acquistare crediti da progetti di compensazione certificati per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità indipendentemente dalle quote di emissione. Questi mercati utilizzano metodologie diverse per garantire che le riduzioni delle emissioni siano reali, misurabili e permanenti.
Purtroppo, nonostante l'urgenza dell'azione climatica, i recenti dibattiti sui mercati volontari del carbonio hanno messo in dubbio la loro utilità. Gli scettici sostengono che la mancanza di trasparenza e l'incoerenza degli standard portino a crediti di bassa qualità basati su compensazioni che non riescono a produrre le riduzioni di emissioni promesse. A loro avviso, questi mercati permettono alle grandi aziende di impegnarsi in una forma sofisticata di greenwashing.
La controversia ha raggiunto l'apice all'inizio di quest'anno, quando gli oppositori hanno messo in dubbio la legittimità dell'iniziativa Science Based Targets (SBTi), che sviluppa gli standard e gli strumenti globali che consentono alle aziende di fissare obiettivi legati alle emissioni di gas serra in linea con il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050. La decisione dell'SBTi di consentire alle aziende di includere i crediti volontari di carbonio nel calcolo delle loro emissioni indirette ha scatenato una reazione significativa, tanto che molti hanno messo in discussione la credibilità di tali strumenti. Pochi mesi dopo, il SBTi ha rivisto la sua posizione, chiarendo che i certificati di attribuzione ambientale, compresi i crediti di carbonio, non possono essere utilizzati per compensare le emissioni della catena del valore di un'azienda.
Questi sviluppi hanno bloccato i finanziamenti fondamentali per portare avanti le soluzioni climatiche e in particolar modo l'eliminazione del carbonio. Né il sistema ETS dell'UE né i mercati volontari del carbonio del blocco possono infatti finanziare in modo sostenibile le tecnologie di rimozione del carbonio. Molti hanno suggerito di utilizzare le tecnologie avanzate per migliorare la trasparenza e la responsabilità dei mercati del carbonio. Ma data la complessità della situazione e la mancanza di standard volontari uniformi, è necessario un altro strumento per aumentare l'eliminazione del carbonio, ovvero una regolamentazione.
Il Giappone è un buon esempio. Il mercato obbligatorio giapponese del carbonio accetta infatti i crediti derivanti da vari metodi di rimozione del carbonio, tra cui la cattura diretta nell'aria e la cattura e lo stoccaggio del carbonio nella bioenergia. La leggeper lo sviluppo del mercato dell'eliminazione del diossido di carbonio introdotta in California potrebbe ugualmente favorire l'adozione e la diffusione di questa tecnologia definendo quali tipi di emissioni è in grado di compensare.
L'UE dovrebbe richiedere alle aziende di ridurre le emissioni fino a una certa soglia e di acquistare "crediti di emissione negativi" per compensare l'impatto climatico rimanente. Altrettanto importante è che delle regole chiare per la certificazione delle pratiche di rimozione del carbonio, volte a garantirne l'efficacia e lo stoccaggio a lungo termine, possano incoraggiare le imprese a investire in queste tecnologie.
Ma occorre fare di più. Innanzitutto, non è chiaro come questo nuovo quadro funzionerà con le normative esistenti, compreso l'ETS. Inoltre, le organizzazioni competenti per la definizione degli standard, come l'SBTi, devono integrare meglio il processo di "mitigazione al di là della catena del valore", ovvero gli sforzi di un'azienda per ridurre le emissioni di gas serra al di fuori delle proprie attività commerciali, e l'eliminazione delle emissioni di carbonio negli obiettivi climatici aziendali a breve termine, al fine di aiutare a delineare la risposta normativa. Mentre l'UE si prepara a rivedere il sistema ETS nel 2026, deve sfruttare quest’opportunità per assumere un ruolo guida nella promozione di una tecnologia verde cruciale.
Informativa: gli autori di questo articolo sono, rispettivamente, l'Amministratore delegato di una società che certifica crediti per i mercati volontari del carbonio e un’ investitrice che detiene una quota in questa società.
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BERLINO/PARIGI – L'Unione Europea si è impegnata a eliminare le emissioni di gas serra entro il 2050 e ci sono forti segnali che fanno pensare che i politici dell’Unione approveranno un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% entro il 2040. La scienza è chiara su ciò che deve essere fatto per limitare il riscaldamento globale a 1,5º Celsius al di sopra dei livelli preindustriali: tagli rapidi e drastici alle emissioni e la rimozione di 6-10 gigatoni di anidride carbonica dall'atmosfera su base annuale. Eppure il primo aspetto riceve molta più attenzione del secondo.
Questa situazione deve cambiare e deve farlo rapidamente. L'eliminazione della CO2 richiederà un aumento degli investimenti nelle tecnologie di rimozione del carbonio dagli attuali 5-13 miliardi di dollari a 6-16 mila miliardi di dollari entro il 2050. Per fare un paragone, si tratta di una cifra pari almeno al doppio dei ricavi generati ogni anno dall'industria del petrolio e del gas.
Al di là dell'obbligo morale (anche se sarebbe meglio dire esistenziale) di proteggere il clima, esiste una motivazione commerciale per l'impiego di tecnologie per la rimozione del carbonio in tutta l'UE. Entro il 2050 infatti, un'industria globale per la rimozione del carbonio in grado di eliminare le emissioni potrebbe avere un valore compreso tra i 300 miliardi e i 1.200 triliardi di dollari.
Al di là degli investimenti del settore pubblico e privato, i mercati del carbonio, che regolano l’acquisto da parte delle aziende di crediti per compensare le proprie emissioni, sono emersi come una delle più importanti fonti di finanziamento per i progetti di riduzione del carbonio. Applicando un prezzo al carbonio, le imprese sono incentivate a migliorare l'efficienza energetica e a sviluppare e implementare delle soluzioni verdi in tutte le loro attività.
Oggi esistono principalmente due approcci alla tassazione del carbonio: i mercati del carbonio obbligatori e quelli volontari. Il mercato obbligatorio è regolato da regimi vincolanti di riduzione delle emissioni di carbonio, principalmente rivolti alle industrie ad alta emissione, come l'acciaio, il petrolio e i trasporti, mentre il mercato volontario opera in modo indipendente, senza una diretta supervisione normativa.
Il sistema di scambio di quote di emissione (ETS) dell' UE, ovvero il mercato obbligatorio del blocco UE, funziona secondo il principio del "cap-and-trade", in base al quale le imprese di settori specifici ricevono delle quote di emissioni la cui fornitura è limitata a un livello tale da ridurre le emissioni totali di CO2. Queste imprese possono vendere le quote non utilizzate sul mercato, e spesso le vendono a società a cui ne servono di nuove.
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I mercati volontari del carbonio, invece, consentono alle imprese e ai privati di acquistare crediti da progetti di compensazione certificati per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità indipendentemente dalle quote di emissione. Questi mercati utilizzano metodologie diverse per garantire che le riduzioni delle emissioni siano reali, misurabili e permanenti.
Purtroppo, nonostante l'urgenza dell'azione climatica, i recenti dibattiti sui mercati volontari del carbonio hanno messo in dubbio la loro utilità. Gli scettici sostengono che la mancanza di trasparenza e l'incoerenza degli standard portino a crediti di bassa qualità basati su compensazioni che non riescono a produrre le riduzioni di emissioni promesse. A loro avviso, questi mercati permettono alle grandi aziende di impegnarsi in una forma sofisticata di greenwashing.
La controversia ha raggiunto l'apice all'inizio di quest'anno, quando gli oppositori hanno messo in dubbio la legittimità dell'iniziativa Science Based Targets (SBTi), che sviluppa gli standard e gli strumenti globali che consentono alle aziende di fissare obiettivi legati alle emissioni di gas serra in linea con il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050. La decisione dell'SBTi di consentire alle aziende di includere i crediti volontari di carbonio nel calcolo delle loro emissioni indirette ha scatenato una reazione significativa, tanto che molti hanno messo in discussione la credibilità di tali strumenti. Pochi mesi dopo, il SBTi ha rivisto la sua posizione, chiarendo che i certificati di attribuzione ambientale, compresi i crediti di carbonio, non possono essere utilizzati per compensare le emissioni della catena del valore di un'azienda.
Questi sviluppi hanno bloccato i finanziamenti fondamentali per portare avanti le soluzioni climatiche e in particolar modo l'eliminazione del carbonio. Né il sistema ETS dell'UE né i mercati volontari del carbonio del blocco possono infatti finanziare in modo sostenibile le tecnologie di rimozione del carbonio. Molti hanno suggerito di utilizzare le tecnologie avanzate per migliorare la trasparenza e la responsabilità dei mercati del carbonio. Ma data la complessità della situazione e la mancanza di standard volontari uniformi, è necessario un altro strumento per aumentare l'eliminazione del carbonio, ovvero una regolamentazione.
Il Giappone è un buon esempio. Il mercato obbligatorio giapponese del carbonio accetta infatti i crediti derivanti da vari metodi di rimozione del carbonio, tra cui la cattura diretta nell'aria e la cattura e lo stoccaggio del carbonio nella bioenergia. La leggeper lo sviluppo del mercato dell'eliminazione del diossido di carbonio introdotta in California potrebbe ugualmente favorire l'adozione e la diffusione di questa tecnologia definendo quali tipi di emissioni è in grado di compensare.
L'UE dovrebbe richiedere alle aziende di ridurre le emissioni fino a una certa soglia e di acquistare "crediti di emissione negativi" per compensare l'impatto climatico rimanente. Altrettanto importante è che delle regole chiare per la certificazione delle pratiche di rimozione del carbonio, volte a garantirne l'efficacia e lo stoccaggio a lungo termine, possano incoraggiare le imprese a investire in queste tecnologie.
Alcuni progressi sono già stati fatti. L'adozione, quest’anno, da parte dell'UE del quadro di certificazione per l'eliminazione del carbonio è stato un primo importante passo verso la regolamentazione di questa tecnologia.
Ma occorre fare di più. Innanzitutto, non è chiaro come questo nuovo quadro funzionerà con le normative esistenti, compreso l'ETS. Inoltre, le organizzazioni competenti per la definizione degli standard, come l'SBTi, devono integrare meglio il processo di "mitigazione al di là della catena del valore", ovvero gli sforzi di un'azienda per ridurre le emissioni di gas serra al di fuori delle proprie attività commerciali, e l'eliminazione delle emissioni di carbonio negli obiettivi climatici aziendali a breve termine, al fine di aiutare a delineare la risposta normativa. Mentre l'UE si prepara a rivedere il sistema ETS nel 2026, deve sfruttare quest’opportunità per assumere un ruolo guida nella promozione di una tecnologia verde cruciale.
Informativa: gli autori di questo articolo sono, rispettivamente, l'Amministratore delegato di una società che certifica crediti per i mercati volontari del carbonio e un’ investitrice che detiene una quota in questa società.