OTTAWA – La Banca mondiale e altre istituzioni multilaterali sono sempre più impegnate nel promuovere misure di “de-risking” volte a ridurre il rischio associato agli investimenti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo, al fine di rendere tali progetti più appetibili per la finanza internazionale. Ma “de-risking” è un’espressione impropria: un progetto può essere compromesso da eventi esterni, cattiva progettazione o mala gestione. Una qualche percentuale di rischio – che sia legata all’errore umano e alla debolezza istituzionale, oppure a terremoti, uragani e altre innumerevoli cause – è comunque insita in tutti gli investimenti infrastrutturali.
Pertanto, la domanda da porsi non è come eliminare il rischio, bensì come ripartirlo tra i soggetti partecipanti. Quando la Banca mondiale e altri organismi parlano di strategie di de-risking applicate ai finanziamenti infrastrutturali, quello che in realtà intendono è ridurre il rischio per gli investitori – e aumentarlo per i governi.
Le disposizioni per la ripartizione del rischio per le partnership pubblico-privato (PPP) contenute nella Guidance on PPP Contractual Provisions, 2017 Edition della Banca mondiale spingono questo approccio fino a un nuovo estremo. In quasi ogni evenienza – dalle cause di forza maggiore alle carenze prestazionali del settore privato – il soggetto pubblico è destinato ad assumersi tutto il rischio o buona parte di esso. Inoltre, il parametro della Banca per determinare l’efficacia di questo rigido approccio è rappresentato dalle “operazioni di PPP aggiudicate con successo”. Ciò che manca è la possibilità di valutare se un progetto stia effettivamente fornendo i beni o servizi previsti ai cittadini, e un meccanismo di ricorso nel caso in cui ciò non avvenga.
Questa strategia estrema di ripartizione del rischio potrebbe avere conseguenze di vasta portata. Uno dei motivi principali per cui i governi utilizzano le partnership pubblico-privato per le infrastrutture è che, in tal modo, possono classificare i relativi progetti come “fuori contabilità”, ovvero non ufficiali. Ciò significa che il finanziamento del progetto non è considerato un costo pubblico diretto né va a incidere sui massimali del debito pubblico. E poiché i costi di un progetto dovrebbero essere rimborsati nel tempo direttamente dagli utenti o attraverso fondi di esercizio messi a disposizione dal governo, gli investimenti vengono considerati come “denaro gratuito” che i governi non hanno bisogno di giustificare.
Ora, però, istituzioni finanziarie come il Fondo monetario internazionale stanno rigettando questo concetto di “denaro gratuito”, sottolineando che quanto maggiore è il rischio per un governo, tanto meno un progetto può definirsi non ufficiale. Di conseguenza, le asimmetriche disposizioni per la ripartizione del rischio proposte dalla Banca mondiale dovrebbero in realtà rendere più probabile che i progetti di PPP siano registrati come attività di finanziamento e debito ufficiali. Ciò sarebbe di per sé una buona cosa. Catalogando tutti i progetti infrastrutturali come “contabilizzati”, i governi saranno in una posizione migliore per verificare se i risultati che conseguono valgono i soldi investiti.
Il problema è che queste discussioni stanno avvenendo soltanto dietro le quinte. Nel frattempo, la Banca mondiale continua a promuovere le PPP come l’unica forma accettabile di finanziamento alle infrastrutture per i paesi in via di sviluppo, nei casi in cui un soggetto privato possa svolgere il lavoro. E i governi continuano ad accumulare sempre più rischio convinti che, essendo “fuori contabilità”, non venga considerato un obbligo a livello di debito sovrano.
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Di conseguenza, molti paesi in via di sviluppo si stanno dirigendo verso uno scenario apocalittico. In molti casi, i rischi assunti dai governi avranno una durata di 20-30 anni. Durante quest’arco di tempo, i governi affronteranno sfide impegnative legate alla gestione della spesa pubblica e si troveranno a sostenere costi imprevisti associati a impegni non ufficiali e a un eccesso di debito, il che potrebbe aumentare il rischio d’insolvenza.
A peggiorare le cose, l’approccio attuale della Banca mondiale crea azzardo morale: quanto meno rischia la parte privata di una PPP, tanto meno avrà da perdere in caso di cattiva performance. Le disposizioni della Banca mondiale prevedono che, in caso di risoluzione di un contratto da parte di un governo, anche un partner del settore privato che non ha prodotto risultati vada risarcito. Pertanto, alcuni contraenti del settore privato potrebbero sentirsi liberi di non fornire una prestazione ottimale, e invece soppesare di continuo i costi e benefici legati a un lavoro di mediocre o scarsa qualità.
La strategia attuale è anche un invito aperto ai soggetti privati a spremere ancor di più i governi, rinegoziando i contratti attivi. Di fronte all’eventualità di assorbire i costi complessivi di un progetto fallito o di pagare di più per garantirne la riuscita, un governo non ha altra scelta che accogliere le richieste di un partner privato.
Non si tratta di un rischio inverosimile. La Banca mondiale e altri organismi hanno capito da anni che le imprese private spesso avviano rinegoziazioni contrattuali nell’ambito di progetti infrastrutturali di PPP. E ciò accade con maggiore probabilità quando gli appalti vengono aggiudicati in un contesto di concorrenza imperfetta, che crea opportunità per le aziende private di stabilire condizioni contrattuali poco realistiche.
La Banca mondiale è animata da buone intenzione, non c’è dubbio, ma far ricadere tutto l’onere del rischio sui governi non è un modo efficace per attirare investimenti nei paesi in via di sviluppo. La Banca deve, dunque, cambiare urgentemente rotta, e questo significa promuovere un’equilibrata ripartizione del rischio e fare in modo che tutti i progetti infrastrutturali siano valutati come se fossero ufficiali. Una guida che non tiene conto delle conseguenze delle sue stesse disposizioni non è di alcuna utilità. E quando viene offerta a paesi in via di sviluppo che hanno già un debito sovrano insostenibile, diventa decisamente pericolosa.
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OTTAWA – La Banca mondiale e altre istituzioni multilaterali sono sempre più impegnate nel promuovere misure di “de-risking” volte a ridurre il rischio associato agli investimenti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo, al fine di rendere tali progetti più appetibili per la finanza internazionale. Ma “de-risking” è un’espressione impropria: un progetto può essere compromesso da eventi esterni, cattiva progettazione o mala gestione. Una qualche percentuale di rischio – che sia legata all’errore umano e alla debolezza istituzionale, oppure a terremoti, uragani e altre innumerevoli cause – è comunque insita in tutti gli investimenti infrastrutturali.
Pertanto, la domanda da porsi non è come eliminare il rischio, bensì come ripartirlo tra i soggetti partecipanti. Quando la Banca mondiale e altri organismi parlano di strategie di de-risking applicate ai finanziamenti infrastrutturali, quello che in realtà intendono è ridurre il rischio per gli investitori – e aumentarlo per i governi.
Le disposizioni per la ripartizione del rischio per le partnership pubblico-privato (PPP) contenute nella Guidance on PPP Contractual Provisions, 2017 Edition della Banca mondiale spingono questo approccio fino a un nuovo estremo. In quasi ogni evenienza – dalle cause di forza maggiore alle carenze prestazionali del settore privato – il soggetto pubblico è destinato ad assumersi tutto il rischio o buona parte di esso. Inoltre, il parametro della Banca per determinare l’efficacia di questo rigido approccio è rappresentato dalle “operazioni di PPP aggiudicate con successo”. Ciò che manca è la possibilità di valutare se un progetto stia effettivamente fornendo i beni o servizi previsti ai cittadini, e un meccanismo di ricorso nel caso in cui ciò non avvenga.
Questa strategia estrema di ripartizione del rischio potrebbe avere conseguenze di vasta portata. Uno dei motivi principali per cui i governi utilizzano le partnership pubblico-privato per le infrastrutture è che, in tal modo, possono classificare i relativi progetti come “fuori contabilità”, ovvero non ufficiali. Ciò significa che il finanziamento del progetto non è considerato un costo pubblico diretto né va a incidere sui massimali del debito pubblico. E poiché i costi di un progetto dovrebbero essere rimborsati nel tempo direttamente dagli utenti o attraverso fondi di esercizio messi a disposizione dal governo, gli investimenti vengono considerati come “denaro gratuito” che i governi non hanno bisogno di giustificare.
Ora, però, istituzioni finanziarie come il Fondo monetario internazionale stanno rigettando questo concetto di “denaro gratuito”, sottolineando che quanto maggiore è il rischio per un governo, tanto meno un progetto può definirsi non ufficiale. Di conseguenza, le asimmetriche disposizioni per la ripartizione del rischio proposte dalla Banca mondiale dovrebbero in realtà rendere più probabile che i progetti di PPP siano registrati come attività di finanziamento e debito ufficiali. Ciò sarebbe di per sé una buona cosa. Catalogando tutti i progetti infrastrutturali come “contabilizzati”, i governi saranno in una posizione migliore per verificare se i risultati che conseguono valgono i soldi investiti.
Il problema è che queste discussioni stanno avvenendo soltanto dietro le quinte. Nel frattempo, la Banca mondiale continua a promuovere le PPP come l’unica forma accettabile di finanziamento alle infrastrutture per i paesi in via di sviluppo, nei casi in cui un soggetto privato possa svolgere il lavoro. E i governi continuano ad accumulare sempre più rischio convinti che, essendo “fuori contabilità”, non venga considerato un obbligo a livello di debito sovrano.
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Di conseguenza, molti paesi in via di sviluppo si stanno dirigendo verso uno scenario apocalittico. In molti casi, i rischi assunti dai governi avranno una durata di 20-30 anni. Durante quest’arco di tempo, i governi affronteranno sfide impegnative legate alla gestione della spesa pubblica e si troveranno a sostenere costi imprevisti associati a impegni non ufficiali e a un eccesso di debito, il che potrebbe aumentare il rischio d’insolvenza.
A peggiorare le cose, l’approccio attuale della Banca mondiale crea azzardo morale: quanto meno rischia la parte privata di una PPP, tanto meno avrà da perdere in caso di cattiva performance. Le disposizioni della Banca mondiale prevedono che, in caso di risoluzione di un contratto da parte di un governo, anche un partner del settore privato che non ha prodotto risultati vada risarcito. Pertanto, alcuni contraenti del settore privato potrebbero sentirsi liberi di non fornire una prestazione ottimale, e invece soppesare di continuo i costi e benefici legati a un lavoro di mediocre o scarsa qualità.
La strategia attuale è anche un invito aperto ai soggetti privati a spremere ancor di più i governi, rinegoziando i contratti attivi. Di fronte all’eventualità di assorbire i costi complessivi di un progetto fallito o di pagare di più per garantirne la riuscita, un governo non ha altra scelta che accogliere le richieste di un partner privato.
Non si tratta di un rischio inverosimile. La Banca mondiale e altri organismi hanno capito da anni che le imprese private spesso avviano rinegoziazioni contrattuali nell’ambito di progetti infrastrutturali di PPP. E ciò accade con maggiore probabilità quando gli appalti vengono aggiudicati in un contesto di concorrenza imperfetta, che crea opportunità per le aziende private di stabilire condizioni contrattuali poco realistiche.
La Banca mondiale è animata da buone intenzione, non c’è dubbio, ma far ricadere tutto l’onere del rischio sui governi non è un modo efficace per attirare investimenti nei paesi in via di sviluppo. La Banca deve, dunque, cambiare urgentemente rotta, e questo significa promuovere un’equilibrata ripartizione del rischio e fare in modo che tutti i progetti infrastrutturali siano valutati come se fossero ufficiali. Una guida che non tiene conto delle conseguenze delle sue stesse disposizioni non è di alcuna utilità. E quando viene offerta a paesi in via di sviluppo che hanno già un debito sovrano insostenibile, diventa decisamente pericolosa.