BRUXELLES – Da quando il Green Deal europeo è stato introdotto nel 2019, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo ha pubblicizzato come la nuova agenda di crescita economica dell’Unione europea. Dopotutto, pur puntando a ridurre le emissioni di gas serra dell’UE a zero entro il 2050, l’obiettivo principale della strategia mira a raggiungere tale target modernizzando l’economia e promuovendo l’innovazione. Ma non tutti ne sono convinti.
Negli ultimi mesi, gli automobilisti europei si sono lamentati dell’incombente divieto dell’UE sulla produzione e sulla vendita di auto con motori a combustione interna, le famiglie si sono opposte ai piani per eliminare gradualmente le caldaie a gas e gli agricoltori si sono ribellati contro le normative ambientali che considerano invadenti. Con l’avvicinarsi delle elezioni del Parlamento europeo del mese prossimo, i partiti di estrema destra stanno sgomitando per affermarsi come gli alfieri ufficiali di questo crescente malcontento e si preparano a usare qualsiasi potere che conquisteranno per sabotare l’agenda verde.
I manifestanti fanno alcune osservazioni legittime. La trasformazione radicale che il Green Deal europeo comporta solleva difficili interrogativi su chi debba sostenere i costi dell’azione per il clima, sia all’interno dei paesi che tra di essi. Se questi costi finiranno per ricadere in modo sproporzionato sui lavoratori – per non parlare delle comunità più povere e vulnerabili – la trasformazione aggraverà le disuguaglianze, con effetti a catena sociali e politici potenzialmente gravi. Fortunatamente, politiche climatiche adeguatamente progettate possono scongiurare questo risultato e portare effettivamente a una maggiore uguaglianza sociale.
Fin dall’inizio, il Green Deal europeo ha tenuto conto di considerazioni di giustizia climatica. I sostenitori hanno sempre saputo che avrebbero dovuto assicurarsi il sostegno politico della Polonia ad alta intensità di carbone, e non avevano dimenticato la rivolta dei “gilet gialli” scoppiata in Francia nel 2018, dopo che il presidente Emmanuel Macron ha tentato di introdurre una tassa sul carbonio nel trasporto su strada.
Non è un caso che la prima iniziativa faro nell’ambito del Green Deal europeo sia stata il Just Transition Fund, che dedicherà 20 miliardi di euro (21,6 miliardi di dollari) nel periodo 2021-27 per sostenere la “diversificazione e riconversione economica” dei territori che si prevede saranno i più colpiti dalla transizione green. Né è un caso che, nel creare il primo mercato del carbonio in assoluto per l’edilizia e il trasporto su strada, la Commissione europea abbia istituito il Fondo sociale per il clima, che dovrebbe mobilitare almeno 86,7 miliardi di euro tra il 2026 e il 2032 per compensare i gruppi più vulnerabili per l’aumento dei prezzi dell’energia.
Queste iniziative politiche riflettono i consigli che si possono trovare nella letteratura economica sui dividendi del carbonio. Ma si riveleranno insufficienti a compensare i profondi effetti distributivi della politica climatica, in particolare con l’accelerazione della decarbonizzazione e l’inclusione di settori che influenzano direttamente la vita quotidiana della gente comune, come l’edilizia e i trasporti. Ecco perché anche l’Europa ha bisogno di un nuovo contratto sociale green, che si concentri principalmente su questi settori.
A tal fine, l’UE dovrebbe razionalizzare e semplificare gli strumenti di finanziamento esistenti per fornire un sostegno ancora più decisivo alla trasformazione delle regioni carbonifere e ad alta intensità di carbonio. Dovrebbe inoltre adottare misure per garantire che i paesi dell’UE facciano un uso migliore e più mirato dei proventi del mercato del carbonio per sostenere l’adozione di alternative green, dai veicoli elettrici ai sistemi di riscaldamento domestico. E dovrebbe spingere per un “Green Deal rurale” che sostenga i piccoli agricoltori, richiedendo al contempo all’industria agroalimentare di trasformare i suoi sistemi. Pur non eliminando le conseguenze distributive della politica climatica, a livello UE tale azione apporterebbe un contributo significativo.
L’UE deve inoltre trasformare la decarbonizzazione in una reale opportunità economica sviluppando una solida politica industriale green. Ciò richiederà, in primo luogo, di rivitalizzare la “noiosa” agenda del mercato unico dell’UE, al fine di sfruttare la più grande risorsa del blocco – un enorme mercato condiviso per beni, servizi finanziari, energia, lavoratori e idee – per incentivare nuovi investimenti in tecnologie pulite.
Saranno inoltre necessari interventi in settori tecnologici specifici. Piuttosto che imitare l’Inflation Reduction Act statunitense, l’UE dovrebbe sfruttare al massimo le sue risorse limitate fornendo un sostegno mirato nei settori in cui dispone già di un solido vantaggio comparativo su cui costruire. Mentre alcuni settori storici potrebbero aver bisogno di supporto durante la decarbonizzazione, il sostegno alle innovazioni rivoluzionarie dovrebbe essere l’obiettivo principale.
Il Green Deal europeo ha fatto molta strada da quando è stato concepito cinque anni fa. Ma se l’UE intende conseguire gli obiettivi climatici per il 2030 e raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, deve agire ora per assicurarsi di poter resistere agli inevitabili venti politici contrari. Un nuovo patto sociale green e una nuova politica industriale possono fare la differenza.
Traduzione di Simona Polverino
BRUXELLES – Da quando il Green Deal europeo è stato introdotto nel 2019, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo ha pubblicizzato come la nuova agenda di crescita economica dell’Unione europea. Dopotutto, pur puntando a ridurre le emissioni di gas serra dell’UE a zero entro il 2050, l’obiettivo principale della strategia mira a raggiungere tale target modernizzando l’economia e promuovendo l’innovazione. Ma non tutti ne sono convinti.
Negli ultimi mesi, gli automobilisti europei si sono lamentati dell’incombente divieto dell’UE sulla produzione e sulla vendita di auto con motori a combustione interna, le famiglie si sono opposte ai piani per eliminare gradualmente le caldaie a gas e gli agricoltori si sono ribellati contro le normative ambientali che considerano invadenti. Con l’avvicinarsi delle elezioni del Parlamento europeo del mese prossimo, i partiti di estrema destra stanno sgomitando per affermarsi come gli alfieri ufficiali di questo crescente malcontento e si preparano a usare qualsiasi potere che conquisteranno per sabotare l’agenda verde.
I manifestanti fanno alcune osservazioni legittime. La trasformazione radicale che il Green Deal europeo comporta solleva difficili interrogativi su chi debba sostenere i costi dell’azione per il clima, sia all’interno dei paesi che tra di essi. Se questi costi finiranno per ricadere in modo sproporzionato sui lavoratori – per non parlare delle comunità più povere e vulnerabili – la trasformazione aggraverà le disuguaglianze, con effetti a catena sociali e politici potenzialmente gravi. Fortunatamente, politiche climatiche adeguatamente progettate possono scongiurare questo risultato e portare effettivamente a una maggiore uguaglianza sociale.
Fin dall’inizio, il Green Deal europeo ha tenuto conto di considerazioni di giustizia climatica. I sostenitori hanno sempre saputo che avrebbero dovuto assicurarsi il sostegno politico della Polonia ad alta intensità di carbone, e non avevano dimenticato la rivolta dei “gilet gialli” scoppiata in Francia nel 2018, dopo che il presidente Emmanuel Macron ha tentato di introdurre una tassa sul carbonio nel trasporto su strada.
Non è un caso che la prima iniziativa faro nell’ambito del Green Deal europeo sia stata il Just Transition Fund, che dedicherà 20 miliardi di euro (21,6 miliardi di dollari) nel periodo 2021-27 per sostenere la “diversificazione e riconversione economica” dei territori che si prevede saranno i più colpiti dalla transizione green. Né è un caso che, nel creare il primo mercato del carbonio in assoluto per l’edilizia e il trasporto su strada, la Commissione europea abbia istituito il Fondo sociale per il clima, che dovrebbe mobilitare almeno 86,7 miliardi di euro tra il 2026 e il 2032 per compensare i gruppi più vulnerabili per l’aumento dei prezzi dell’energia.
Queste iniziative politiche riflettono i consigli che si possono trovare nella letteratura economica sui dividendi del carbonio. Ma si riveleranno insufficienti a compensare i profondi effetti distributivi della politica climatica, in particolare con l’accelerazione della decarbonizzazione e l’inclusione di settori che influenzano direttamente la vita quotidiana della gente comune, come l’edilizia e i trasporti. Ecco perché anche l’Europa ha bisogno di un nuovo contratto sociale green, che si concentri principalmente su questi settori.
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A tal fine, l’UE dovrebbe razionalizzare e semplificare gli strumenti di finanziamento esistenti per fornire un sostegno ancora più decisivo alla trasformazione delle regioni carbonifere e ad alta intensità di carbonio. Dovrebbe inoltre adottare misure per garantire che i paesi dell’UE facciano un uso migliore e più mirato dei proventi del mercato del carbonio per sostenere l’adozione di alternative green, dai veicoli elettrici ai sistemi di riscaldamento domestico. E dovrebbe spingere per un “Green Deal rurale” che sostenga i piccoli agricoltori, richiedendo al contempo all’industria agroalimentare di trasformare i suoi sistemi. Pur non eliminando le conseguenze distributive della politica climatica, a livello UE tale azione apporterebbe un contributo significativo.
L’UE deve inoltre trasformare la decarbonizzazione in una reale opportunità economica sviluppando una solida politica industriale green. Ciò richiederà, in primo luogo, di rivitalizzare la “noiosa” agenda del mercato unico dell’UE, al fine di sfruttare la più grande risorsa del blocco – un enorme mercato condiviso per beni, servizi finanziari, energia, lavoratori e idee – per incentivare nuovi investimenti in tecnologie pulite.
Saranno inoltre necessari interventi in settori tecnologici specifici. Piuttosto che imitare l’Inflation Reduction Act statunitense, l’UE dovrebbe sfruttare al massimo le sue risorse limitate fornendo un sostegno mirato nei settori in cui dispone già di un solido vantaggio comparativo su cui costruire. Mentre alcuni settori storici potrebbero aver bisogno di supporto durante la decarbonizzazione, il sostegno alle innovazioni rivoluzionarie dovrebbe essere l’obiettivo principale.
Il Green Deal europeo ha fatto molta strada da quando è stato concepito cinque anni fa. Ma se l’UE intende conseguire gli obiettivi climatici per il 2030 e raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, deve agire ora per assicurarsi di poter resistere agli inevitabili venti politici contrari. Un nuovo patto sociale green e una nuova politica industriale possono fare la differenza.
Traduzione di Simona Polverino