LONDRA – “Quel diamante che avete al dito, come è diventato vostro?” domandò Cimbelino. “Mi tortureresti”, rispose il perfido Jachimo, “perché io non dicessi quello che, detto, sarebbe tortura per te”. La storia che c’è dietro ad alcune parti del commercio globale di risorse naturali oggi, che venga rivelata o meno, è addirittura fonte di angoscia.
Le risorse naturali dovrebbero essere il principale contributo allo sviluppo in alcuni dei Paesi che ne hanno più bisogno. Eppure, in alcuni degli stati più poveri e fragili del mondo succede il contrario. In molti Paesi, il commercio di risorse naturali stimola, finanzia e porta avanti vergognosi conflitti e abusi dei diritti umani. Risorse come diamanti, oro, tungsteno, tantalio e stagno vengono estratti, contrabbandati e tassati illegalmente da gruppi armati e violenti, e fornendo ai servizi militari e di sicurezza abusivi dei finanziamenti non previsti dai piani di bilancio.
Prendiamo quattro stati africani: il Sudan, il Sudan del Sud, la Repubblica Centrafricana (RCA) e la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Insieme, questi Paesi ricchi di risorse naturali rappresentano poco più del 13% della popolazione dell’Africa Subsahariana, ma circa il 55% delle persone dislocate all’interno della regione (e uno su cinque a livello mondiale) a causa delle guerre. Tuttavia il problema è globale, con situazioni simili in alcune parti di Paesi come Colombia, Myanmar e Afghanistan.
Il commercio spietato di risorse provenienti da zone di conflitto è favorito dalle catene di rifornimento che alimentano i principali mercati dei consumatori, come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, generando proventi che ritornano poi indietro. Risorse naturali come stagno, tantalio, tungsteno e oro – tutti minerali che sono stati legati in alcune parti del mondo a conflitti e abusi di diritti umani – si trovano nei gioielli che indossiamo, nelle automobili, nei cellulari, nelle console dei videogiochi, nelle attrezzature mediche e in molti altri prodotti di uso quotidiano.
Vi è una chiara richiesta di informazioni da parte dei consumatori che consentirà agli acquirenti di assicurarsi che i loro acquisti non li coinvolgano in abusi sconcertanti. Tuttavia la responsabilità di riconciliare il commercio globale con la protezione dei diritti umani non spetta per prima ai consumatori. La prevenzione dei conflitti e la protezione dei diritti umani sono principalmente responsabilità degli stati, ed è ormai ampiamente riconosciuto che anche le aziende devono fare la loro parte.
In realtà, siamo a un punto critico in quello che è diventato un movimento globale volto a impedire che le pratiche aziendali irresponsabili vengano viste come il solito business. Dal 2010, le società che lavorano in zone caratterizzate da conflitti possono far riferimento ad alcuni standard globali. L’Ocse ha stilato una guida sull’approvvigionamento responsabile dei minerali. Sviluppata in stretta collaborazione con il settore dei minerali, essa offre “raccomandazioni dettagliate per aiutare le società a rispettare i diritti umani e a evitare di contribuire ai conflitti tramite le loro decisioni e le pratiche di acquisto dei minerali”.
At a time when democracy is under threat, there is an urgent need for incisive, informed analysis of the issues and questions driving the news – just what PS has always provided. Subscribe now and save $50 on a new subscription.
Subscribe Now
Anche le Nazioni Unite hanno promosso simili requisiti. Nel 2011, le Nazioni Unite hanno pubblicato i Principi guida su imprese e diritti umani, in base ai quali le società “i cui contesti operativi presentano un rischio significativo per i diritti umani devono comunicare formalmente in che modo li affrontano”.
Tuttavia, fatta eccezione per pochi leader industriali progressisti, solo poche aziende hanno risposto a queste linee guida. Nel 2013, alcuni ricercatori olandesi hanno effettuato un sondaggio su 186 società quotate sui listini europei che fanno uso di minerali provenienti da zone di guerra. Più dell’80% non ha reso noto sul sito aziendale cosa era stato fatto per evitare il finanziamento di conflitti o gli abusi di diritti umani. Analogamente, la Direzione Generale per il Commercio della Commissione Europea ha rilevato che solo il 7% su 153 società dell’Unione Europea parla di politica di due diligence nelle relazioni finanziarie annuali o sul sito aziendale, in riferimento ai minerali provenienti da zone di conflitto.
Gli Stati Uniti hanno già fatto un passo avanti. La Commissione per i titoli e gli scambi ha chiesto alle società che usano tantalio, stagno, oro o tungsteno nei loro prodotti di verificare l’origine di queste materie prime e di ridurre i rischi nelle proprie catene di rifornimento in linea con i princìpi dell’Ocse, nel caso in cui questi minerali provengano da zone di guerra o da aree ad elevato rischio. I 12 Paesi membri della Conferenza Internazionale della regione dei Grandi Laghi si sono impegnati nel soddisfare simili requisiti di due diligence.
Così dovrebbe essere. L’approvigionamento responsabile di minerali è un dovere, non una scelta. Ma su questo punto, l’Unione Europea è rimasta indietro. A marzo, la Commissione europea ha proposto un programma in base al quale la divulgazione della provenienza dei minerali continuerà a essere volontaria, il che significa che i minerali che entrano nell’Unione Europea non saranno sottoposti a controlli obbligatori. La proposta, inoltre, si concentra esclusivamente sui minerali e i metalli grezzi ed esclude i prodotti che contengono minerali importanti, come cellulari, veicoli e attrezzature mediche.
La proposta è ora in fase di revisione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo. È fondamentale che entrambe le istituzioni colgano questa opportunità per consolidare la risposta dell’Unione Europea rendendo obbligatoria la divulgazione della provenienza dei minerali e la conformità a determinati standard, arrivando a includere anche prodotti finiti e semi finiti. Una migliore regolamentazione del commercio di queste risorse non porterà la pace nelle aree colpite da conflitti. Ma il finanziamento di conflitti e gli abusi dei diritti umani non possono diventare il prezzo da pagare per fare business.
To have unlimited access to our content including in-depth commentaries, book reviews, exclusive interviews, PS OnPoint and PS The Big Picture, please subscribe
At the end of a year of domestic and international upheaval, Project Syndicate commentators share their favorite books from the past 12 months. Covering a wide array of genres and disciplines, this year’s picks provide fresh perspectives on the defining challenges of our time and how to confront them.
ask Project Syndicate contributors to select the books that resonated with them the most over the past year.
LONDRA – “Quel diamante che avete al dito, come è diventato vostro?” domandò Cimbelino. “Mi tortureresti”, rispose il perfido Jachimo, “perché io non dicessi quello che, detto, sarebbe tortura per te”. La storia che c’è dietro ad alcune parti del commercio globale di risorse naturali oggi, che venga rivelata o meno, è addirittura fonte di angoscia.
Le risorse naturali dovrebbero essere il principale contributo allo sviluppo in alcuni dei Paesi che ne hanno più bisogno. Eppure, in alcuni degli stati più poveri e fragili del mondo succede il contrario. In molti Paesi, il commercio di risorse naturali stimola, finanzia e porta avanti vergognosi conflitti e abusi dei diritti umani. Risorse come diamanti, oro, tungsteno, tantalio e stagno vengono estratti, contrabbandati e tassati illegalmente da gruppi armati e violenti, e fornendo ai servizi militari e di sicurezza abusivi dei finanziamenti non previsti dai piani di bilancio.
Prendiamo quattro stati africani: il Sudan, il Sudan del Sud, la Repubblica Centrafricana (RCA) e la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Insieme, questi Paesi ricchi di risorse naturali rappresentano poco più del 13% della popolazione dell’Africa Subsahariana, ma circa il 55% delle persone dislocate all’interno della regione (e uno su cinque a livello mondiale) a causa delle guerre. Tuttavia il problema è globale, con situazioni simili in alcune parti di Paesi come Colombia, Myanmar e Afghanistan.
Il commercio spietato di risorse provenienti da zone di conflitto è favorito dalle catene di rifornimento che alimentano i principali mercati dei consumatori, come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, generando proventi che ritornano poi indietro. Risorse naturali come stagno, tantalio, tungsteno e oro – tutti minerali che sono stati legati in alcune parti del mondo a conflitti e abusi di diritti umani – si trovano nei gioielli che indossiamo, nelle automobili, nei cellulari, nelle console dei videogiochi, nelle attrezzature mediche e in molti altri prodotti di uso quotidiano.
Vi è una chiara richiesta di informazioni da parte dei consumatori che consentirà agli acquirenti di assicurarsi che i loro acquisti non li coinvolgano in abusi sconcertanti. Tuttavia la responsabilità di riconciliare il commercio globale con la protezione dei diritti umani non spetta per prima ai consumatori. La prevenzione dei conflitti e la protezione dei diritti umani sono principalmente responsabilità degli stati, ed è ormai ampiamente riconosciuto che anche le aziende devono fare la loro parte.
In realtà, siamo a un punto critico in quello che è diventato un movimento globale volto a impedire che le pratiche aziendali irresponsabili vengano viste come il solito business. Dal 2010, le società che lavorano in zone caratterizzate da conflitti possono far riferimento ad alcuni standard globali. L’Ocse ha stilato una guida sull’approvvigionamento responsabile dei minerali. Sviluppata in stretta collaborazione con il settore dei minerali, essa offre “raccomandazioni dettagliate per aiutare le società a rispettare i diritti umani e a evitare di contribuire ai conflitti tramite le loro decisioni e le pratiche di acquisto dei minerali”.
HOLIDAY SALE: PS for less than $0.7 per week
At a time when democracy is under threat, there is an urgent need for incisive, informed analysis of the issues and questions driving the news – just what PS has always provided. Subscribe now and save $50 on a new subscription.
Subscribe Now
Anche le Nazioni Unite hanno promosso simili requisiti. Nel 2011, le Nazioni Unite hanno pubblicato i Principi guida su imprese e diritti umani, in base ai quali le società “i cui contesti operativi presentano un rischio significativo per i diritti umani devono comunicare formalmente in che modo li affrontano”.
Tuttavia, fatta eccezione per pochi leader industriali progressisti, solo poche aziende hanno risposto a queste linee guida. Nel 2013, alcuni ricercatori olandesi hanno effettuato un sondaggio su 186 società quotate sui listini europei che fanno uso di minerali provenienti da zone di guerra. Più dell’80% non ha reso noto sul sito aziendale cosa era stato fatto per evitare il finanziamento di conflitti o gli abusi di diritti umani. Analogamente, la Direzione Generale per il Commercio della Commissione Europea ha rilevato che solo il 7% su 153 società dell’Unione Europea parla di politica di due diligence nelle relazioni finanziarie annuali o sul sito aziendale, in riferimento ai minerali provenienti da zone di conflitto.
Gli Stati Uniti hanno già fatto un passo avanti. La Commissione per i titoli e gli scambi ha chiesto alle società che usano tantalio, stagno, oro o tungsteno nei loro prodotti di verificare l’origine di queste materie prime e di ridurre i rischi nelle proprie catene di rifornimento in linea con i princìpi dell’Ocse, nel caso in cui questi minerali provengano da zone di guerra o da aree ad elevato rischio. I 12 Paesi membri della Conferenza Internazionale della regione dei Grandi Laghi si sono impegnati nel soddisfare simili requisiti di due diligence.
Così dovrebbe essere. L’approvigionamento responsabile di minerali è un dovere, non una scelta. Ma su questo punto, l’Unione Europea è rimasta indietro. A marzo, la Commissione europea ha proposto un programma in base al quale la divulgazione della provenienza dei minerali continuerà a essere volontaria, il che significa che i minerali che entrano nell’Unione Europea non saranno sottoposti a controlli obbligatori. La proposta, inoltre, si concentra esclusivamente sui minerali e i metalli grezzi ed esclude i prodotti che contengono minerali importanti, come cellulari, veicoli e attrezzature mediche.
La proposta è ora in fase di revisione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo. È fondamentale che entrambe le istituzioni colgano questa opportunità per consolidare la risposta dell’Unione Europea rendendo obbligatoria la divulgazione della provenienza dei minerali e la conformità a determinati standard, arrivando a includere anche prodotti finiti e semi finiti. Una migliore regolamentazione del commercio di queste risorse non porterà la pace nelle aree colpite da conflitti. Ma il finanziamento di conflitti e gli abusi dei diritti umani non possono diventare il prezzo da pagare per fare business.