MILANO – Le azioni di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di mitigazione del cambiamento climatico sono state a lungo considerate fondamentalmente contrarie alla crescita economica. Infatti, si cita spesso la fragilità della ripresa economica globale quale giustificazione per ritardare tali misure. Ma un recente rapporto, “The New Climate Economy: Better Growth, Better Climate”, pubblicato dalla Commissione Mondiale su Economia e Clima, confuta questo ragionamento. Lungi dall’essere un danno per la crescita economica, la relazione conclude che gli sforzi per combattere i cambiamenti climatici potrebbero favorire notevolmente la crescita – ed in tempi relativamente rapidi.
Chiunque abbia studiato l’andamento economico dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, si rende conto che i danni al bilancio - come debito in eccesso e passività residue scoperte - possono causare rallentamenti della crescita, arresti improvvisi, o anche radicali sovvertimenti. E chi ha familiarità con la crescita nei paesi in via di sviluppo sa che investimenti modesti in capitale umano, infrastrutture, e conoscenze e tecnologie economiche di base alla fine creano dei bilanci che non possono supportare una crescita continua.
Il cambiamento climatico non è molto diverso da questi modelli di crescita insostenibili o difettosi. Anch’esso costituisce, essenzialmente, un problema di bilancio, basato sulla quantità di CO2 presente nell’atmosfera.
In base agli andamenti attuali, al mondo non restano che 3-4 anni (e anche meno) prima che la CO2 atmosferica raggiunga livelli tali da sconvolgere i modelli climatici, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e, quindi, per i sistemi economici e sociali. Consentire che il “capitale naturale” del mondo - le risorse e gli ecosistemi che le sostengono – venga dilapidato è essenzialmente un’altra espressione della distruttiva scarsità di investimenti.
L’enorme quantità di evidenze scientifiche a sostegno delle attuali proiezioni climatiche rende improbabile che il mondo rinunci del tutto ad interventi regolativi. Ma non sarà facile risolvere i complessi problemi distributivi e di coordinamento che tali adeguamenti possono generare, e i politici potrebbero avere la tentazione di rinviare interventi concreti, convinti che non ci si possa permettere una strategia di mitigazione aggressiva dovendo al momento fronteggiare tante altre sfide pressanti.
“The New Climate Economy” sostiene che questa sarebbe una pessima idea. Le valutazioni approfondite del rapporto riguardo a recenti ricerche, esperienze e innovazioni hanno portato alla conclusione inequivocabile che agire ora sarebbe molto meno costoso che attendere. In realtà, intervenire ora non costerebbe quasi nulla.
Le traiettorie di crescita a basso consumo di carbonio non sembrano poi così diverse da quelle ad alto consumo - fino alla soglia in cui queste ultime virano bruscamente verso il baratro del fallimento catastrofico. In altre parole, i costi netti di riduzione delle emissioni di CO2 - in termini di crescita, reddito, e altre misure di performance economica e sociale - non sono poi così alti nel breve e medio termine. Dato quello che oggi si conosce circa le conseguenze per l’ambiente naturale del modello ad alto consumo di carbonio e, quindi, in termini di effetti sanitari e qualità della vita, tali costi potrebbero effettivamente essere negativi.
Ma c’è una clausola importante: occorre intervenire con urgenza. I costi economici delle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici aumentano in modo non lineare quando si ritarda l’azione. Se tali costi vengono differiti di 15 anni o più, sarà impossibile allora raggiungere gli obiettivi di mitigazione, a qualsiasi prezzo.
Quindi, come ci si può spostare verso il modello a basso consumo di carbonio? La relazione sottolinea i vantaggi della costruzione di infrastrutture ed edifici ad alta efficienza energetica necessari per sostenere l’economia mondiale a bassa emissione di carbonio del 2050, incorporando strategie per basse emissioni di carbonio nei processi di pianificazione comunale, e intercettando il potenziale di Internet per aumentare l’efficienza. Se a questo si aggiungono la diminuzione dei costi delle fonti alternative di energia e l’incessante progresso tecnologico, gli obiettivi di riduzione globale del carbonio non sembrano così distanti - o costosi.
Dopo aver valutato le tecnologie, le opzioni politiche, e le analisi incluse nella relazione, si potrebbe concludere che i modelli di crescita a bassa emissione di carbonio potrebbero risultare leggermente “più piatti” nel breve termine rispetto alle loro controparti ad alto tenore di carbonio, con maggiori investimenti e minori consumi. Tuttavia, sarebbe difficile considerarli peggiori, dati i loro vantaggi a medio-lungo termine.
Il rapporto fa luce anche su un’altra questione importante nel dibattito sul clima: è fondamentale la cooperazione globale per la mitigazione dei cambiamenti climatici? Un’economia che proceda in modo autonomo genera percorsi di crescita nettamente più bassi – per esempio, danneggiando la competitività del proprio settore commerciale? Se la risposta è affermativa, il coordinamento delle politiche a livello internazionale sembra una precondizione necessaria al progresso.
Non sembra questo il caso. Una parte sostanziale di un programma politico nazionale che supporti lo spostamento di un singolo paese verso un percorso di crescita a basso consumo di carbonio (aumento dell’efficienza energetica, per esempio) non produrrà un rallentamento economico; tale sforzo potrebbe addirittura portare a tassi di crescita più elevati rispetto a quelli conseguibili con il mantenimento di un modello ad alto tenore di carbonio. In prima approssimazione, i modelli a bassa emissione di carbonio rappresentano le strategie dominanti, in quanto implicano una visione completamente diversa e molto più favorevole dei sistemi di incentivazione al lavoro.
Ciò significa che, anche se il coordinamento internazionale sarà un fattore importante per il successo a lungo termine per la mitigazione dei cambiamenti climatici, le sue complicanze non necessitano - e non devono – di tenere in ostaggio il progresso. Data la difficoltà di sviluppare e attuare una strategia globale, questa è una buona notizia.
Le evidenze scientifiche hanno eliminato i dubbi legittimi circa la portata dei rischi che il cambiamento climatico pone. Oggi, l’analisi della Commissione Globale ha ampiamente confutato le argomentazioni economiche per l’inazione. Si aggiunga la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per i cambiamenti climatici, e le condizioni per un’azione decisiva potrebbero essere arrivate.
MILANO – Le azioni di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di mitigazione del cambiamento climatico sono state a lungo considerate fondamentalmente contrarie alla crescita economica. Infatti, si cita spesso la fragilità della ripresa economica globale quale giustificazione per ritardare tali misure. Ma un recente rapporto, “The New Climate Economy: Better Growth, Better Climate”, pubblicato dalla Commissione Mondiale su Economia e Clima, confuta questo ragionamento. Lungi dall’essere un danno per la crescita economica, la relazione conclude che gli sforzi per combattere i cambiamenti climatici potrebbero favorire notevolmente la crescita – ed in tempi relativamente rapidi.
Chiunque abbia studiato l’andamento economico dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, si rende conto che i danni al bilancio - come debito in eccesso e passività residue scoperte - possono causare rallentamenti della crescita, arresti improvvisi, o anche radicali sovvertimenti. E chi ha familiarità con la crescita nei paesi in via di sviluppo sa che investimenti modesti in capitale umano, infrastrutture, e conoscenze e tecnologie economiche di base alla fine creano dei bilanci che non possono supportare una crescita continua.
Il cambiamento climatico non è molto diverso da questi modelli di crescita insostenibili o difettosi. Anch’esso costituisce, essenzialmente, un problema di bilancio, basato sulla quantità di CO2 presente nell’atmosfera.
In base agli andamenti attuali, al mondo non restano che 3-4 anni (e anche meno) prima che la CO2 atmosferica raggiunga livelli tali da sconvolgere i modelli climatici, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e, quindi, per i sistemi economici e sociali. Consentire che il “capitale naturale” del mondo - le risorse e gli ecosistemi che le sostengono – venga dilapidato è essenzialmente un’altra espressione della distruttiva scarsità di investimenti.
L’enorme quantità di evidenze scientifiche a sostegno delle attuali proiezioni climatiche rende improbabile che il mondo rinunci del tutto ad interventi regolativi. Ma non sarà facile risolvere i complessi problemi distributivi e di coordinamento che tali adeguamenti possono generare, e i politici potrebbero avere la tentazione di rinviare interventi concreti, convinti che non ci si possa permettere una strategia di mitigazione aggressiva dovendo al momento fronteggiare tante altre sfide pressanti.
“The New Climate Economy” sostiene che questa sarebbe una pessima idea. Le valutazioni approfondite del rapporto riguardo a recenti ricerche, esperienze e innovazioni hanno portato alla conclusione inequivocabile che agire ora sarebbe molto meno costoso che attendere. In realtà, intervenire ora non costerebbe quasi nulla.
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Le traiettorie di crescita a basso consumo di carbonio non sembrano poi così diverse da quelle ad alto consumo - fino alla soglia in cui queste ultime virano bruscamente verso il baratro del fallimento catastrofico. In altre parole, i costi netti di riduzione delle emissioni di CO2 - in termini di crescita, reddito, e altre misure di performance economica e sociale - non sono poi così alti nel breve e medio termine. Dato quello che oggi si conosce circa le conseguenze per l’ambiente naturale del modello ad alto consumo di carbonio e, quindi, in termini di effetti sanitari e qualità della vita, tali costi potrebbero effettivamente essere negativi.
Ma c’è una clausola importante: occorre intervenire con urgenza. I costi economici delle strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici aumentano in modo non lineare quando si ritarda l’azione. Se tali costi vengono differiti di 15 anni o più, sarà impossibile allora raggiungere gli obiettivi di mitigazione, a qualsiasi prezzo.
Quindi, come ci si può spostare verso il modello a basso consumo di carbonio? La relazione sottolinea i vantaggi della costruzione di infrastrutture ed edifici ad alta efficienza energetica necessari per sostenere l’economia mondiale a bassa emissione di carbonio del 2050, incorporando strategie per basse emissioni di carbonio nei processi di pianificazione comunale, e intercettando il potenziale di Internet per aumentare l’efficienza. Se a questo si aggiungono la diminuzione dei costi delle fonti alternative di energia e l’incessante progresso tecnologico, gli obiettivi di riduzione globale del carbonio non sembrano così distanti - o costosi.
Dopo aver valutato le tecnologie, le opzioni politiche, e le analisi incluse nella relazione, si potrebbe concludere che i modelli di crescita a bassa emissione di carbonio potrebbero risultare leggermente “più piatti” nel breve termine rispetto alle loro controparti ad alto tenore di carbonio, con maggiori investimenti e minori consumi. Tuttavia, sarebbe difficile considerarli peggiori, dati i loro vantaggi a medio-lungo termine.
Il rapporto fa luce anche su un’altra questione importante nel dibattito sul clima: è fondamentale la cooperazione globale per la mitigazione dei cambiamenti climatici? Un’economia che proceda in modo autonomo genera percorsi di crescita nettamente più bassi – per esempio, danneggiando la competitività del proprio settore commerciale? Se la risposta è affermativa, il coordinamento delle politiche a livello internazionale sembra una precondizione necessaria al progresso.
Non sembra questo il caso. Una parte sostanziale di un programma politico nazionale che supporti lo spostamento di un singolo paese verso un percorso di crescita a basso consumo di carbonio (aumento dell’efficienza energetica, per esempio) non produrrà un rallentamento economico; tale sforzo potrebbe addirittura portare a tassi di crescita più elevati rispetto a quelli conseguibili con il mantenimento di un modello ad alto tenore di carbonio. In prima approssimazione, i modelli a bassa emissione di carbonio rappresentano le strategie dominanti, in quanto implicano una visione completamente diversa e molto più favorevole dei sistemi di incentivazione al lavoro.
Ciò significa che, anche se il coordinamento internazionale sarà un fattore importante per il successo a lungo termine per la mitigazione dei cambiamenti climatici, le sue complicanze non necessitano - e non devono – di tenere in ostaggio il progresso. Data la difficoltà di sviluppare e attuare una strategia globale, questa è una buona notizia.
Le evidenze scientifiche hanno eliminato i dubbi legittimi circa la portata dei rischi che il cambiamento climatico pone. Oggi, l’analisi della Commissione Globale ha ampiamente confutato le argomentazioni economiche per l’inazione. Si aggiunga la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per i cambiamenti climatici, e le condizioni per un’azione decisiva potrebbero essere arrivate.