STOCCOLMA – La guerra della Russia contro l’Ucraina ha scosso tutto il mondo. I prezzi del petrolio sono aumentati vertiginosamente, così come i prezzi dei prodotti alimentari, provocando instabilità politica. L’ultima volta che si è verificata una simile volatilità dei prezzi, si è arrivati agli scontri nel mondo arabo e in paesi come il Burkina Faso e il Bangladesh. Oggi, l’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari si sta verificando in uno scenario di pandemia legata al Covid-19. Ma quando finiranno tutti questi shock?
In realtà, la risposta è che non finiranno. Pertanto, possiamo lasciarci andare alla rassegnazione e alla disperazione, oppure possiamo decidere di portare avanti un’agenda politica volta a creare resilienza politica e sociale contro eventuali shock futuri. Le opzioni sono evidentemente solo queste e dovremmo iniziare a prenderle in considerazione seriamente in quanto gli shock non faranno altro che peggiorare. Oltre alla crisi geopolitica, l’emergenza climatica comporterà infatti nuovi sconvolgimenti tra cui alluvioni importanti, grandi siccità e probabilmente addirittura mancanza di raccolti in contemporanea nelle regioni che producono grano a livello mondiale. In questo contesto, è importante osservare che l’India, ovvero il secondo maggior produttore di frumento a livello mondiale, ha recentemente vietato le esportazioni come risposta all’ondata di calore estremo verificatasi in primavera.
Il problema tuttavia è dato dal fatto che anche lo stesso processo di riduzione di vulnerabilità agli shock, ad esempio attraverso una rivoluzione delle politiche su energia e alimentazione, potrà comportare nuovi sconvolgimenti. Il sistema energetico rappresenta infatti la base delle economie industrializzate e deve essere necessariamente riformato per ridurre gradualmente i carburanti fossili nel giro di pochi decenni. Le grandi industrie, come quella del carbone e del petrolio, dovranno pertanto essere ridotte fino a scomparire, mentre il trasporto dei prodotti agricoli, così come altri settori, dovranno cambiare radicalmente per diventare più sostenibili e resilienti.
La sfida per i politici è quindi chiara: delineare politiche eque che proteggano le persone da shock inevitabili.
Un’idea che ha del potenziale notevole è quella di istitutire un fondo per i cittadini che comporti un’equazione chiara relativa a costi e dividendi. Più specificatamente, le aziende che emettono gas serra o che estraggono risorse naturali dovrebbero pagare un costo che verrebbe elargito al fondo, e tale somma verrebbe poi distribuita in modo equo a tutti i cittadini per attenuare gli shock legati sia al periodo di trasformazione che al periodo successivo.
In realtà non si tratta solo di un’idea. Nel 1976, il governatore repubblicano dell’Alaska, Jay Hammond, istituì infatti il Fondo permanente per l’Alaska che prevede l’imposizione di una tassa sulle aziende che estraggono il petrolio e la distribuzione dei profitti in modo equo a tutti i cittadini dello stato dell’Alaska. Nel 2021, ciascun cittadino dell’Alaska ha ricevuto 1.114 dollari, non come “benefit di previdenza sociale” , ma come dividendo dei beni dello stato (in questo caso di una fornitura limitata di petrolio). Durante il mandato della governatrice repubblicana Sarah Palin nel 2008 è stato elargito ai cittadini dell’Alaska il dividendo più consistente pari a 3.269 dollari.
Nel 2017, James A. Baker e George P. Shultz, due ex ministri repubblicani, hanno proposto dei programmi simili da estendere a tutti gli Stati Uniti, stimando che un’imposta sulle emissioni di carbonio avrebbe generato un dividendo pari a 2.000 dollari l’anno per ogni nucleo familiare statunitense. Grazie al sostegno di 3.500 economisti, il loro schema ha attratto un ampio interesse non solo tra le aziende e i gruppi ambientalisti, ma anche (sorprendentemente) tra le diverse fazioni politiche.
Il principio economico è semplice. Un’imposta sul carbonio riduce le emissioni facendo aumentare il costo dell’inquinamento e, sebbene le aziende riversebbero questi costi sui consumatori, ne sarebbero comunque colpiti principalmente i più ricchi in quanto rappresentano la più ampia e crescente fonte di emissioni. In parallelo, i più poveri beneficerebbero di somme consistenti derivanti dai dividendi dato che 2.000 dollari sono un’entrata molto più significativa per le famiglie a basso reddito, rispetto alle famiglie ad alto reddito. All fin fine, la maggior parte delle persone ne sarebbero dunque avvantaggiate.
Ma visto che l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia tendono a colpire di più i redditi bassi, perché bisogna rendere il dividendo universale? La motivazione è che a una politica di così larga scala serve un sostegno ampio e duraturo e le persone tendono a sostenere un programma o una politica se possono guadagnarne qualcosa.
Inoltre, un fondo per i cittadini non sarebbe solo un modo per ridurre le emissioni e garantire una rete di sicurezza economica per la transizione verso l’energia pulita, ma incoraggerebbe inoltre l’innovazione e la creatività fornendo una base di sostegno per gli imprenditori e per chi si assume i rischi, ovvero coloro che dovranno necessariamente portare avanti la trasformazione del sistema alimentare e di quello energetico.
Un fondo per i cittadini potrebbe anche essere allargato fino ad includere altri beni comuni, come ad esempio le industrie minerarie ed estrattive, la plastica, le risorse oceaniche e persino la conoscenza, i dati e le reti di collegamento. Tutti questi settori comprendono dei beni condivisi, di proprietà di tutti, che vengono sfruttati dalle aziende, le quali dovrebbero quindi pagare per le esternalità negative che producono.
Ovviamente, un dividendo universale non rappresenta una panacea. Dovrebbe far parte di un programma più ampio mirato a costruire delle società più resilienti nei confronti degli shock, anche con sforzi maggiori per la ridistribuzione della ricchezza attraverso una tassazione progressiva e il potenziamento dei lavoratori. A questo scopo, l’iniziativa Earth4All, che co-presiedo, sta sviluppando una serie di nuove proposte che, a nostro avviso, rappresentano la via più promettente per creare delle società coese e ancor più in grado di prendere decisioni a lungo termine a beneficio della maggioranza.
Il nostro risultato più importante è molto probabilmente il più ovvio, ma anche facile da trascurare. Sia che facciamo il minimo indispensabile per affrontare le enormi sfide che ci troviamo davanti, sia che facciamo tutto il possibile per costruire delle società resilienti, gli shock e gli sconvolgimenti faranno comunque parte del nostro futuro. Accoglierli rimane quindi l’unica opzione e un fondo per i cittadini rappresenta chiaramente un ovvio ammortizzatore.
Traduzione di Marzia Pecorari
STOCCOLMA – La guerra della Russia contro l’Ucraina ha scosso tutto il mondo. I prezzi del petrolio sono aumentati vertiginosamente, così come i prezzi dei prodotti alimentari, provocando instabilità politica. L’ultima volta che si è verificata una simile volatilità dei prezzi, si è arrivati agli scontri nel mondo arabo e in paesi come il Burkina Faso e il Bangladesh. Oggi, l’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari si sta verificando in uno scenario di pandemia legata al Covid-19. Ma quando finiranno tutti questi shock?
In realtà, la risposta è che non finiranno. Pertanto, possiamo lasciarci andare alla rassegnazione e alla disperazione, oppure possiamo decidere di portare avanti un’agenda politica volta a creare resilienza politica e sociale contro eventuali shock futuri. Le opzioni sono evidentemente solo queste e dovremmo iniziare a prenderle in considerazione seriamente in quanto gli shock non faranno altro che peggiorare. Oltre alla crisi geopolitica, l’emergenza climatica comporterà infatti nuovi sconvolgimenti tra cui alluvioni importanti, grandi siccità e probabilmente addirittura mancanza di raccolti in contemporanea nelle regioni che producono grano a livello mondiale. In questo contesto, è importante osservare che l’India, ovvero il secondo maggior produttore di frumento a livello mondiale, ha recentemente vietato le esportazioni come risposta all’ondata di calore estremo verificatasi in primavera.
Il problema tuttavia è dato dal fatto che anche lo stesso processo di riduzione di vulnerabilità agli shock, ad esempio attraverso una rivoluzione delle politiche su energia e alimentazione, potrà comportare nuovi sconvolgimenti. Il sistema energetico rappresenta infatti la base delle economie industrializzate e deve essere necessariamente riformato per ridurre gradualmente i carburanti fossili nel giro di pochi decenni. Le grandi industrie, come quella del carbone e del petrolio, dovranno pertanto essere ridotte fino a scomparire, mentre il trasporto dei prodotti agricoli, così come altri settori, dovranno cambiare radicalmente per diventare più sostenibili e resilienti.
La sfida per i politici è quindi chiara: delineare politiche eque che proteggano le persone da shock inevitabili.
Un’idea che ha del potenziale notevole è quella di istitutire un fondo per i cittadini che comporti un’equazione chiara relativa a costi e dividendi. Più specificatamente, le aziende che emettono gas serra o che estraggono risorse naturali dovrebbero pagare un costo che verrebbe elargito al fondo, e tale somma verrebbe poi distribuita in modo equo a tutti i cittadini per attenuare gli shock legati sia al periodo di trasformazione che al periodo successivo.
In realtà non si tratta solo di un’idea. Nel 1976, il governatore repubblicano dell’Alaska, Jay Hammond, istituì infatti il Fondo permanente per l’Alaska che prevede l’imposizione di una tassa sulle aziende che estraggono il petrolio e la distribuzione dei profitti in modo equo a tutti i cittadini dello stato dell’Alaska. Nel 2021, ciascun cittadino dell’Alaska ha ricevuto 1.114 dollari, non come “benefit di previdenza sociale” , ma come dividendo dei beni dello stato (in questo caso di una fornitura limitata di petrolio). Durante il mandato della governatrice repubblicana Sarah Palin nel 2008 è stato elargito ai cittadini dell’Alaska il dividendo più consistente pari a 3.269 dollari.
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Nel 2017, James A. Baker e George P. Shultz, due ex ministri repubblicani, hanno proposto dei programmi simili da estendere a tutti gli Stati Uniti, stimando che un’imposta sulle emissioni di carbonio avrebbe generato un dividendo pari a 2.000 dollari l’anno per ogni nucleo familiare statunitense. Grazie al sostegno di 3.500 economisti, il loro schema ha attratto un ampio interesse non solo tra le aziende e i gruppi ambientalisti, ma anche (sorprendentemente) tra le diverse fazioni politiche.
Il principio economico è semplice. Un’imposta sul carbonio riduce le emissioni facendo aumentare il costo dell’inquinamento e, sebbene le aziende riversebbero questi costi sui consumatori, ne sarebbero comunque colpiti principalmente i più ricchi in quanto rappresentano la più ampia e crescente fonte di emissioni. In parallelo, i più poveri beneficerebbero di somme consistenti derivanti dai dividendi dato che 2.000 dollari sono un’entrata molto più significativa per le famiglie a basso reddito, rispetto alle famiglie ad alto reddito. All fin fine, la maggior parte delle persone ne sarebbero dunque avvantaggiate.
Ma visto che l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia tendono a colpire di più i redditi bassi, perché bisogna rendere il dividendo universale? La motivazione è che a una politica di così larga scala serve un sostegno ampio e duraturo e le persone tendono a sostenere un programma o una politica se possono guadagnarne qualcosa.
Inoltre, un fondo per i cittadini non sarebbe solo un modo per ridurre le emissioni e garantire una rete di sicurezza economica per la transizione verso l’energia pulita, ma incoraggerebbe inoltre l’innovazione e la creatività fornendo una base di sostegno per gli imprenditori e per chi si assume i rischi, ovvero coloro che dovranno necessariamente portare avanti la trasformazione del sistema alimentare e di quello energetico.
Un fondo per i cittadini potrebbe anche essere allargato fino ad includere altri beni comuni, come ad esempio le industrie minerarie ed estrattive, la plastica, le risorse oceaniche e persino la conoscenza, i dati e le reti di collegamento. Tutti questi settori comprendono dei beni condivisi, di proprietà di tutti, che vengono sfruttati dalle aziende, le quali dovrebbero quindi pagare per le esternalità negative che producono.
Ovviamente, un dividendo universale non rappresenta una panacea. Dovrebbe far parte di un programma più ampio mirato a costruire delle società più resilienti nei confronti degli shock, anche con sforzi maggiori per la ridistribuzione della ricchezza attraverso una tassazione progressiva e il potenziamento dei lavoratori. A questo scopo, l’iniziativa Earth4All, che co-presiedo, sta sviluppando una serie di nuove proposte che, a nostro avviso, rappresentano la via più promettente per creare delle società coese e ancor più in grado di prendere decisioni a lungo termine a beneficio della maggioranza.
Il nostro risultato più importante è molto probabilmente il più ovvio, ma anche facile da trascurare. Sia che facciamo il minimo indispensabile per affrontare le enormi sfide che ci troviamo davanti, sia che facciamo tutto il possibile per costruire delle società resilienti, gli shock e gli sconvolgimenti faranno comunque parte del nostro futuro. Accoglierli rimane quindi l’unica opzione e un fondo per i cittadini rappresenta chiaramente un ovvio ammortizzatore.
Traduzione di Marzia Pecorari