WASHINGTON, DC – Se vuoi capire le scelte politiche, si dice, “segui i soldi”. Ispirati da quel consiglio, noi di The Nature Conservancy (in collaborazione con il Paulson Institute e il Cornell Atkinson Center for Sustainability) abbiamo fatto un pò di calcoli per vedere quanto costerebbe preservare la biodiversità – la varietà e l’abbondanza della vita sulla terra.
Abbiamo scoperto che mentre il mondo spende tra 124 ed i 143 miliardi di dollari all’anno (dal 2019) in attività economiche a beneficio della natura, spende molto di più in attività che la danneggiano. Inoltre, per proteggere e quindi iniziare a ripristinare la natura, abbiamo urgente bisogno di colmare un gap finanziario annuale tra i 598 ed i 824 miliardi di dollari.
Questo divario ha avuto conseguenze devastanti. All’inizio di questo decennio, il mondo non era riuscito a raggiungere nemmeno uno degli “Aichi Target” del 2010, il progetto mondiale per la conservazione della biodiversità. Oggi, un altro piano è in elaborazione. Negli ultimi due anni, scienziati e funzionari governativi hanno prefigurato un nuovo quadro globale di obiettivi per la gestione della natura fino al 2030, da adottare alla prossima conferenza della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite (CBD COP15) a Kunming, in Cina, la cui prima parte è prevista adesso per questo ottobre.
Il quadro di riferimento della CBD, come quello dell’accordo sul clima di Parigi del 2015, segnalerà i propositi del governo, fisserà con chiarezza le priorità d’azione, ed indicherà ciò che il settore privato deve fare per sostenere gli obiettivi globali. La nostra ricerca mostra, tuttavia, che per fermare la crisi della biodiversità sarà necessario sostenere questi nuovi obiettivi ambiziosi con piani di finanziamento altrettanto ambiziosi.
A tal fine, il nostro rapporto raccomanda vari modi per trovare i soldi necessari a ricostruire un’economia a sostegno la natura. Il divario finanziario deve essere colmato da entrambe le parti – riducendo il fabbisogno finanziario ed aumentando i flussi finanziari. In primo luogo, dobbiamo cessare o reindirizzare le attività economiche che danneggiano attivamente la natura. Mentre i governi di tutto il mondo forniscono circa 530 miliardi di dollari all’anno in sussidi e sostegni ai prezzi per gli agricoltori, solo il 15% di questi incentivi supporta produzioni sostenibili. Peggio ancora, la maggior parte di essi può portare all’uso eccessivo di fertilizzanti o alla conversione della terra (tra molti altri effetti perversi che degradano la natura).
In secondo luogo, dobbiamo essere più creativi riguardo alle modalità con cui generare nuovi finanziamenti per proteggere e ripristinare la natura. È anche necessaria una migliore regolamentazione per garantire che non vi sia alcuna perdita netta di essa. Mentre costruiamo le nuove infrastrutture per un’economia a basse emissioni di carbonio, dobbiamo evitare il più possibile di danneggiare la natura, e compensare gli effetti davvero inevitabili ripristinando o proteggendo gli ecosistemi altrove.
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All’interno del settore privato, c’è ampio spazio per la crescita di strumenti di finanza verde come obbligazioni a impatto ambientale e prestiti verdi a basso interesse che finanziano iniziative di miglioramento della biodiversità. Ma per realizzare questo potenziale, i governi devono creare le condizioni giuste per maggiori investimenti privati sviluppando e applicando meccanismi che richiedono alle industrie di valutare la natura nelle loro operazioni e lungo le loro catene di approvvigionamento.
Infine, dobbiamo distribuire la nostra spesa attuale in modo più efficiente. Le barriere coralline, le foreste, le zone umide e altri ecosistemi forniscono habitat sani e sostenibili, offrendo al tempo stesso alle comunità un servizio naturale di gestione delle acque e di protezione delle coste. Queste “infrastrutture naturali” a volte sono persino più convenienti di “grigie” soluzioni ingegneristiche come dighe ed argini.
La protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali non solo preservano la biodiversità, ma aiutano anche ad assorbire i gas serra e a costruire la resilienza contro gli effetti dei cambiamenti climatici. La crisi della biodiversità è intimamente legata alla crisi climatica. Le soluzioni climatiche naturali (conservazione, ripristino e migliore gestione degli ecosistemi) hanno il potenziale per coprire un terzo delle riduzioni annuali delle emissioni necessarie per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° Celsius.
La prima bozza del nuovo piano d’azione globale per la biodiversità sottolinea l’importanza di colmare il divario finanziario annuale di 700 miliardi di dollari entro il 2030. Richiede una riduzione di 500 miliardi di dollari dei flussi finanziari dannosi tra i settori, e una mobilitazione di 200 miliardi di dollari in più all’anno in flussi finanziari positivi.
Questi obiettivi finanziari sono una contropartita necessaria agli obiettivi di sostenibilità settoriale, dove le aree critiche sono l’agricoltura, le infrastrutture ed i servizi finanziari. L’obiettivo 15 del piano d’azione chiede a tutte le imprese di “valutare e riferire sulle loro dipendenze ed impatti sulla biodiversità, ridurre progressivamente gli impatti negativi di almeno la metà, ed aumentare gli impatti positivi”.
Inoltre, i ministri delle finanze del G7 hanno approvato la nuova Taskforce sull’Informativa Finanziaria relativa alla Natura, che ha spinto molte grandi società finanziarie a rafforzare la loro rendicontazione sugli impatti dei loro asset sulla biodiversità (simile ai rapporti sul clima già obbligatori). Questi sono tutti passi nella giusta direzione, ma i flussi finanziari tradizionali devono essere completamente allineati con risultati positivi per la natura, come sta già accadendo per quanto riguarda la decarbonizzazione.
Per convertire le aspirazioni in attuazione, il nuovo quadro sulla biodiversità dovrebbe richiedere ai paesi di sviluppare piani nazionali di finanziamento della biodiversità che identificheranno e quindi colmeranno le lacune di finanziamento nazionali, allineeranno tutti i flussi finanziari pubblici e privati, e assisteranno con sforzi simili oltre i loro confini quando possibile. Queste riforme politiche e i relativi budget dovranno includere stanziamenti specifici per le comunità indigene e locali che contribuiscono alla conservazione della biodiversità.
I paesi in via di sviluppo avranno bisogno di aiuto finanziario. Ciò può essere ottenuto raddoppiando i flussi di aiuti esteri entro la metà di questo decennio (cosa che i paesi donatori sono effettivamente riusciti a fare negli anni 2010), e destinando fino al 30% degli aiuti per il clima a soluzioni basate sulla natura, come hanno già fatto paesi come Francia e Regno Unito.
Infine, è fondamentale l’azione sul fronte interno. È necessario che a livello nazionale i paesi spendano di più per ridurre le loro emissioni, costruire resilienza, proteggere la biodiversità, e spendano meno in generale per attività che danneggiano la natura e il clima.
Seguire il denaro non basta più. Dobbiamo svolgere un ruolo attivo nel reindirizzarlo.
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World order is a matter of degree: it varies over time, depending on technological, political, social, and ideological factors that can affect the global distribution of power and influence norms. It can be radically altered both by broader historical trends and by a single major power's blunders.
examines the role of evolving power dynamics and norms in bringing about stable arrangements among states.
Donald Trump has left no doubt that he wants to build an authoritarian, illiberal world order based on traditional spheres of influence and agreements with other illiberal leaders. The only role that the European Union plays in his script is an obstacle that must be pushed aside.
warns that the European Union has no place in Donald Trump’s illiberal worldview.
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Abbiamo scoperto che mentre il mondo spende tra 124 ed i 143 miliardi di dollari all’anno (dal 2019) in attività economiche a beneficio della natura, spende molto di più in attività che la danneggiano. Inoltre, per proteggere e quindi iniziare a ripristinare la natura, abbiamo urgente bisogno di colmare un gap finanziario annuale tra i 598 ed i 824 miliardi di dollari.
Questo divario ha avuto conseguenze devastanti. All’inizio di questo decennio, il mondo non era riuscito a raggiungere nemmeno uno degli “Aichi Target” del 2010, il progetto mondiale per la conservazione della biodiversità. Oggi, un altro piano è in elaborazione. Negli ultimi due anni, scienziati e funzionari governativi hanno prefigurato un nuovo quadro globale di obiettivi per la gestione della natura fino al 2030, da adottare alla prossima conferenza della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite (CBD COP15) a Kunming, in Cina, la cui prima parte è prevista adesso per questo ottobre.
Il quadro di riferimento della CBD, come quello dell’accordo sul clima di Parigi del 2015, segnalerà i propositi del governo, fisserà con chiarezza le priorità d’azione, ed indicherà ciò che il settore privato deve fare per sostenere gli obiettivi globali. La nostra ricerca mostra, tuttavia, che per fermare la crisi della biodiversità sarà necessario sostenere questi nuovi obiettivi ambiziosi con piani di finanziamento altrettanto ambiziosi.
A tal fine, il nostro rapporto raccomanda vari modi per trovare i soldi necessari a ricostruire un’economia a sostegno la natura. Il divario finanziario deve essere colmato da entrambe le parti – riducendo il fabbisogno finanziario ed aumentando i flussi finanziari. In primo luogo, dobbiamo cessare o reindirizzare le attività economiche che danneggiano attivamente la natura. Mentre i governi di tutto il mondo forniscono circa 530 miliardi di dollari all’anno in sussidi e sostegni ai prezzi per gli agricoltori, solo il 15% di questi incentivi supporta produzioni sostenibili. Peggio ancora, la maggior parte di essi può portare all’uso eccessivo di fertilizzanti o alla conversione della terra (tra molti altri effetti perversi che degradano la natura).
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Infine, dobbiamo distribuire la nostra spesa attuale in modo più efficiente. Le barriere coralline, le foreste, le zone umide e altri ecosistemi forniscono habitat sani e sostenibili, offrendo al tempo stesso alle comunità un servizio naturale di gestione delle acque e di protezione delle coste. Queste “infrastrutture naturali” a volte sono persino più convenienti di “grigie” soluzioni ingegneristiche come dighe ed argini.
La protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali non solo preservano la biodiversità, ma aiutano anche ad assorbire i gas serra e a costruire la resilienza contro gli effetti dei cambiamenti climatici. La crisi della biodiversità è intimamente legata alla crisi climatica. Le soluzioni climatiche naturali (conservazione, ripristino e migliore gestione degli ecosistemi) hanno il potenziale per coprire un terzo delle riduzioni annuali delle emissioni necessarie per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° Celsius.
La prima bozza del nuovo piano d’azione globale per la biodiversità sottolinea l’importanza di colmare il divario finanziario annuale di 700 miliardi di dollari entro il 2030. Richiede una riduzione di 500 miliardi di dollari dei flussi finanziari dannosi tra i settori, e una mobilitazione di 200 miliardi di dollari in più all’anno in flussi finanziari positivi.
Questi obiettivi finanziari sono una contropartita necessaria agli obiettivi di sostenibilità settoriale, dove le aree critiche sono l’agricoltura, le infrastrutture ed i servizi finanziari. L’obiettivo 15 del piano d’azione chiede a tutte le imprese di “valutare e riferire sulle loro dipendenze ed impatti sulla biodiversità, ridurre progressivamente gli impatti negativi di almeno la metà, ed aumentare gli impatti positivi”.
Inoltre, i ministri delle finanze del G7 hanno approvato la nuova Taskforce sull’Informativa Finanziaria relativa alla Natura, che ha spinto molte grandi società finanziarie a rafforzare la loro rendicontazione sugli impatti dei loro asset sulla biodiversità (simile ai rapporti sul clima già obbligatori). Questi sono tutti passi nella giusta direzione, ma i flussi finanziari tradizionali devono essere completamente allineati con risultati positivi per la natura, come sta già accadendo per quanto riguarda la decarbonizzazione.
Per convertire le aspirazioni in attuazione, il nuovo quadro sulla biodiversità dovrebbe richiedere ai paesi di sviluppare piani nazionali di finanziamento della biodiversità che identificheranno e quindi colmeranno le lacune di finanziamento nazionali, allineeranno tutti i flussi finanziari pubblici e privati, e assisteranno con sforzi simili oltre i loro confini quando possibile. Queste riforme politiche e i relativi budget dovranno includere stanziamenti specifici per le comunità indigene e locali che contribuiscono alla conservazione della biodiversità.
I paesi in via di sviluppo avranno bisogno di aiuto finanziario. Ciò può essere ottenuto raddoppiando i flussi di aiuti esteri entro la metà di questo decennio (cosa che i paesi donatori sono effettivamente riusciti a fare negli anni 2010), e destinando fino al 30% degli aiuti per il clima a soluzioni basate sulla natura, come hanno già fatto paesi come Francia e Regno Unito.
Infine, è fondamentale l’azione sul fronte interno. È necessario che a livello nazionale i paesi spendano di più per ridurre le loro emissioni, costruire resilienza, proteggere la biodiversità, e spendano meno in generale per attività che danneggiano la natura e il clima.
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