pa2970c.jpg Paul Lachine

La Grande Rapina delle Banche

NEW YORK – Per l’economia Americana –e per molte altre economie avanzate- l’ ammontare di denaro pagato ai banchieri negli ultimi cinque anni è come “un elefante in salotto” che si finge di non vedere. La somma raggiunge la cifra stupefacente di 2.2 mila miliardi di dollari per le banche che se la intendono bene con la Commissione per i Titoli e gli Scambi (Securities and Exchange Commission) statunitense. Facendo un’estrapolazione per il prossimo decennio, la quota potrebbe avvicinarsi ai 5 mila miliardi di dollari, una somma largamente più grande di quanto il Presidente Barack Obama ed i suoi oppositori repubblicani sembrano intenzionati a tagliare per ridurre i futuri deficit governativi.

Quei 5 mila miliardi di dollari non sono denaro investito nella costruzione di strade, scuole, ed altri progetti, ma è direttamente trasferito dall’economia americana ai conti personali di dirigenti ed impiegati di banca. È chiaro che tale trasferimento rappresenta una tassa ingegnosa imposta a tutti gli altri. Sembra molto iniquo che le banche, che hanno contribuito ad originare gli attuali problemi economici e finanziari, siano l’unica classe sociale che non ne subisce le conseguenze –e in molti casi, in realtà, ne stiano traendo beneficio.

Le enormi banche tradizionali sono sconcertanti sotto molti aspetti. (Oggi) non è un segreto che abbiano operato fino ad ora come fondi di compensazione altamente sofisticati, che camuffano le probabilità dei rarissimi eventi “Cigno Nero” (“Black Swan”) ad alto impatto e che traggono beneficio dal supporto gratuito di implicite garanzie pubbliche. L’enorme esposizione bancaria, piuttosto che la competenza degli addetti ai lavori, può essere vista come la fonte dei conseguenti profitti, che affluiscono dunque in modo sproporzionato verso le loro tasche, ed a volte è causa di massicce perdite, che colpiscono prioritariamente azionisti e contribuenti.

In altre parole, le banche corrono dei rischi, traggono profitti dagli eventi positivi, ed invece trasferiscono gli esiti negativi sugli azionisti, i contribuenti, ed anche i pensionati. Per salvare il sistema bancario, la Federal Reserve, per esempio, ha abbassato in modo artificioso i tassi d’interesse; com’è stato rivelato di recente, ha anche rilasciato segretamente alle banche prestiti per 1.2 mila miliardi di dollari. La conseguenza principale conseguita fin ora è stata quella di aiutare le banche a generare bonus (piuttosto che attrarre clienti cui dare prestiti) nascondendo l’indebitamento.

I contribuenti finiscono con il pagare per questi indebitamenti, così come i pensionati e quanti contano sui rendimenti dei loro risparmi. Inoltre, le politiche dei bassi tassi di interesse trasferiscono il rischio di inflazione su tutti i risparmiatori –e sulle future generazioni. Dunque, forse l’offesa più grande per i contribuenti è che la retribuzione dei dirigenti di banca è tornata al suo livello pre-crisi lo scorso anno.

Di certo, nella loro storia, prima di essere salvate dal fallimento dai governi, le banche non hanno mai prodotto alcun ritorno, presumendo che i loro patrimoni siano correttamente contabilizzati ad un valore equo. Né dovrebbero produrre alcun rendimento a lungo termine, poiché il loro modello economico rimane identico a quello precedente, avendo apportato soltanto alcune modificazioni superficiali riguardanti i rischi di scambio.

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Dunque i fatti sono evidenti. Ma, come contribuenti individuali, siamo impotenti, perché non siamo in grado di controllare gli esiti prodotti dagli sforzi concertati dei rappresentanti delle lobby, o, peggio, dagli artefici delle politiche economiche. I nostri sussidi ai manager ed ai dirigenti di banca sono totalmente involontari.

Ma il puzzle rappresenta “un elefante” anche più grande. Perché i gestori di fondi d’investimento comprano i titoli di banche che riversano porzioni molto grandi dei loro guadagni verso i loro dipendenti?

La promessa di replicare gli utili passati non può esserne la ragione, data l’inadeguatezza di tali rendimenti. Difatti, filtrando i titoli in conformità ai rendimenti avrebbero ridotto la diminuzione degli investimenti nel settore finanziario di molto più della metà negli ultimi 20 anni, senza perdite negli utili.

Come mai i gestori di portfolio e fondi-pensione confidano nel fatto che i loro investitori li lascino impuniti? Gli investitori non hanno chiaro che vanno trasferendo volontariamente i titoli dei loro assistiti nelle tasche dei dirigenti di banca? Non è forse vero che i manager dei fondi contravvengono sia a responsabilità fiduciarie che a regole morali? Non stanno forse perdendo l’unica opportunità che si ha di regolamentare le banche e di costringerle ad assumere una competizione responsabile dei rischi?

È molto difficile capire il motivo per cui il meccanismo di mercato non elimini tali problemi. Un mercato ben funzionante produrrebbe risultati favorevoli alle banche che detengono una corretta esposizione, fondi di compensazione adeguati, una giusta condivisione dei rischi, e dunque una corretta amministrazione aziendale.

Ci si potrebbe chiedere: se i manager di fondi d’investimento ed i loro assistiti non ricavano utili elevati dai titoli bancari, come farebbero se speculassero sull’esternalizzazione del rischio dalle banche ai contribuenti, per quale ragione li deterrebbero? La risposta si trova nella cosiddetta “beta”: le banche rappresentano un ampio share del S&P 500, ed i manager hanno la necessità di investire in esse.

Non crediamo che la regolamentazione sia la panacea di questo stato di cose. Le più grandi banche, le più sofisticate, sono diventate esperte nel rimanere un passo avanti rispetto ai regolatori -creando costantemente complessi prodotti finanziari e derivati che evitano la sostanza delle regole. In queste circostanze, regolamentazioni più complesse comportano soltanto un maggior numero di ore di parcella per gli avvocati, maggior reddito per i consulenti della regolamentazione che passano da una parte all’altra, e più alti profitti per i trader di derivati.

I manager di investimenti hanno una responsabilità morale e professionale di giocare il loro ruolo nel portare una qualche disciplina nel sistema bancario. Il primo passo dovrebbe essere quello di separare gli accordi bancari dai loro criteri retributivi.

Gli investitori hanno agito su un piano etico in passato –escludendo, per esempio, le compagnie del tabacco o le corporation che favoriscono l’apartheid in South Africa –ed hanno avuto successo nel creare pressione sui relativi titoli. Investire nelle banche rappresenta una doppia infrazione: etica e professionale. Gli investitori, e noi tutti, staremmo molto meglio se questi fondi confluissero verso aziende più produttive, così come, forse, i bonus dei banchieri dovrebbero essere trasferiti verso opere caritatevoli ben amministrate.

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