NEW HAVEN – Molti dei discorsi emersi durante il simposio di Jackson Hole, che si è svolto ad agosto e ha visto riuniti banchieri centrali ed economisti di tutto il mondo, hanno riguardato un documento, presentato durante il convegno, che dà una spaventosa valutazione di lungo periodo sul futuro delle economie mondiali.
Il documento, “After the Fall” (Dopo il crollo), è stato scritto dagli economisti Carmen Reinhart e Vincent Reinhart. Questa opera attinge da un recente libro, scritto a due mani da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, dal titolo Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria.
Dal documento dei Reinhart si evince che, a differenza della decade che precede le crisi finanziarie – come quella iniziata tre anni fa – la successiva «finestra di dieci anni» mostra «un tasso di crescita del Pil e prezzi delle case notevolmente più bassi e una disoccupazione più elevata». Di conseguenza, si potrebbe concludere che dovremo affrontare più o meno altri sette anni di tempi difficili.
La teoria economica non è sufficientemente sviluppata per predire i maggiori punti di svolta attraverso principi generali o modelli matematici. Dobbiamo quindi affondare le nostre indagini nella storia. La storia potrebbe essere una scienza sociale “debole”, ma va esaminata, considerando anche tempi molto lontani, se vogliamo comprendere le importanti crisi del passato.
Inoltre, dobbiamo osservare il mondo intero. La maggior parte degli economisti studia la storia recente del proprio paese, il che è molto semplice da fare, e gli esiti risultano superficialmente importanti per la maggior parte dei propri connazionali. Ma le principali crisi finanziarie sono difficili da interpretare attraverso gli standard di un singolo paese, e dobbiamo considerare tutta la storia per ottenere informazioni sufficienti sul manifestarsi di tali crisi.
La ricerca condotta dai Reinhart e da Rogoff è un ampliamento e una generalizzazione del pensiero economico informale di molte persone che spesso paragona il presente ai principali eventi del passato.
Dall’insorgere della crisi nel 2007, sono in molti a chiedersi se la Grande Depressione, che è seguita al crollo dei mercati finanziari del 1929 e al fallimento di molte banche all’inizio degli anni ’30, sia paragonabile all’odierna situazione. Il fatto inquietante della Grande Depressione è che risultò grave, globale e durò oltre un decennio – e seguì al collasso di un boom azionario e immobiliare, più o meno quello che è successo prima dell’attuale crisi.
In modo analogo, sono in molti a chiedersi se la debolezza che è seguita alla bolla azionaria e immobiliare scoppiata in Giappone all’inizio degli anni ’90 sia assimilabile alla nostra situazione. Si è sempre parlato di “decennio perduto” del Giappone. Ora sembra più appropriato descrivere quell’esperienza come “decenni perduti”.
Questi esempi ci servono forse per interpretare il nostro futuro? Fanno sicuramente riflettere ma non possono assurgere a prova inconfutabile degli accadimenti futuri – dopotutto, due osservazioni difficilmente bastano a chiarire la questione.
Ora, però, i Reinhart e Rogoff hanno esaminato in modo sistematico numerosi esempi tratti dalla storia finanziaria moderna, tra cui rientrano anche la crisi finanziaria mondiale seguita agli shock petroliferi del 1973 e del 1979, e le crisi finanziarie più circoscritte che hanno colpito singoli paesi, ovvero la Spagna nel 1977, il Cile nel 1981, la Norvegia nel 1987, la Finlandia e la Svezia nel 1991, il Messico nel 1994, Indonesia, Corea, Malesia e Filippine e Tailandia nel 1997, la Colombia nel 1998 e Argentina e Turchia nel 2001.
Insomma, oltre ai due classici episodi di storia moderna ci sono altri innumerevoli casi (anche se non sono tutti completamente indipendenti, perché in qualche modo sono concentrati nel tempo). E partendo proprio da questi casi, i Reinhart e Rogoff hanno rilevato, ad esempio, che nel decennio successivo ad una crisi i tassi medi di crescita annuale del Pil reale pro capite nei paesi avanzati sono inferiori di un punto percentuale, mentre i tassi medi di disoccupazione sono più alti di cinque punti percentuali.
Come si è giunti a questa situazione? Si evince dal loro studio che, in generale, nel decennio che precede tali crisi, i livelli di debito e la leva finanziaria aumentano, spingendo al rialzo i prezzi degli asset per un lungo periodo. Reinhart e Rogoff parlano di una “sindrome del tipo questa volta è diverso” durante il boom pre-crisi, secondo cui tali bolle durano per troppo tempo, perché non si pensa agli episodi passati.
Sembra esserci il germe di una nuova teoria economica nel lavoro dei Reinhart e di Rogoff, ma resta ancora poco chiara. Sembra avere una componente economico-comportamentale, dato che “la sindrome del tipo questa volta è diverso” sembra psicologica piuttosto che razionale, ma non è ancora una teoria così precisa da poter essere presa in considerazione per fare previsioni certe.
Inoltre, ci sono ragioni che suggeriscono che questa volta potrebbe davvero essere diverso. Odio ammetterlo, non volendo commettere il peccato dettato dalla “sindrome”, ma questa volta potrebbe essere diverso perché tutte le crisi moderne del passato sono avvenute in un periodo in cui molti economisti di tutto il mondo decantavano le virtù del modello con “aspettative razionali” dell’economia. Secondo tale modello un’economia di mercato doveva essere lasciata quanto più libera possibile, e questo era ciò a cui ambivano i governi.
Secondo le “aspettative razionali”, le bolle semplicemente non esistevano – il che significava che le bolle in atto potevano continuare a crescere. Ma questa forma mentis sta scemando, e i governi e i leader economici ora ci mettono costantemente in guardia dalle bolle e adottano politiche per contrastarle. Allora, possiamo dire che questa volta è per lo meno un po’ diverso.
Forse, in questo caso, tutte le cattive decadi indotte dalle crisi non fanno più al caso nostro. Ma qualsiasi speranza sul fatto che i postumi dell’odierna crisi si rivelino migliori è ancora nella categoria pensieri, teorie e sogni, e non scienza.
Non è vero che rompere uno specchio porti sette anni di sfortuna. Questa è una superstizione. Se, però, si permette a un mercato finanziario di girare vorticosamente fino a crollare, allora è altamente probabile che si prospettino anni di malessere economico. Questo è un modello storico.
NEW HAVEN – Molti dei discorsi emersi durante il simposio di Jackson Hole, che si è svolto ad agosto e ha visto riuniti banchieri centrali ed economisti di tutto il mondo, hanno riguardato un documento, presentato durante il convegno, che dà una spaventosa valutazione di lungo periodo sul futuro delle economie mondiali.
Il documento, “After the Fall” (Dopo il crollo), è stato scritto dagli economisti Carmen Reinhart e Vincent Reinhart. Questa opera attinge da un recente libro, scritto a due mani da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, dal titolo Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria.
Dal documento dei Reinhart si evince che, a differenza della decade che precede le crisi finanziarie – come quella iniziata tre anni fa – la successiva «finestra di dieci anni» mostra «un tasso di crescita del Pil e prezzi delle case notevolmente più bassi e una disoccupazione più elevata». Di conseguenza, si potrebbe concludere che dovremo affrontare più o meno altri sette anni di tempi difficili.
La teoria economica non è sufficientemente sviluppata per predire i maggiori punti di svolta attraverso principi generali o modelli matematici. Dobbiamo quindi affondare le nostre indagini nella storia. La storia potrebbe essere una scienza sociale “debole”, ma va esaminata, considerando anche tempi molto lontani, se vogliamo comprendere le importanti crisi del passato.
Inoltre, dobbiamo osservare il mondo intero. La maggior parte degli economisti studia la storia recente del proprio paese, il che è molto semplice da fare, e gli esiti risultano superficialmente importanti per la maggior parte dei propri connazionali. Ma le principali crisi finanziarie sono difficili da interpretare attraverso gli standard di un singolo paese, e dobbiamo considerare tutta la storia per ottenere informazioni sufficienti sul manifestarsi di tali crisi.
La ricerca condotta dai Reinhart e da Rogoff è un ampliamento e una generalizzazione del pensiero economico informale di molte persone che spesso paragona il presente ai principali eventi del passato.
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Dall’insorgere della crisi nel 2007, sono in molti a chiedersi se la Grande Depressione, che è seguita al crollo dei mercati finanziari del 1929 e al fallimento di molte banche all’inizio degli anni ’30, sia paragonabile all’odierna situazione. Il fatto inquietante della Grande Depressione è che risultò grave, globale e durò oltre un decennio – e seguì al collasso di un boom azionario e immobiliare, più o meno quello che è successo prima dell’attuale crisi.
In modo analogo, sono in molti a chiedersi se la debolezza che è seguita alla bolla azionaria e immobiliare scoppiata in Giappone all’inizio degli anni ’90 sia assimilabile alla nostra situazione. Si è sempre parlato di “decennio perduto” del Giappone. Ora sembra più appropriato descrivere quell’esperienza come “decenni perduti”.
Questi esempi ci servono forse per interpretare il nostro futuro? Fanno sicuramente riflettere ma non possono assurgere a prova inconfutabile degli accadimenti futuri – dopotutto, due osservazioni difficilmente bastano a chiarire la questione.
Ora, però, i Reinhart e Rogoff hanno esaminato in modo sistematico numerosi esempi tratti dalla storia finanziaria moderna, tra cui rientrano anche la crisi finanziaria mondiale seguita agli shock petroliferi del 1973 e del 1979, e le crisi finanziarie più circoscritte che hanno colpito singoli paesi, ovvero la Spagna nel 1977, il Cile nel 1981, la Norvegia nel 1987, la Finlandia e la Svezia nel 1991, il Messico nel 1994, Indonesia, Corea, Malesia e Filippine e Tailandia nel 1997, la Colombia nel 1998 e Argentina e Turchia nel 2001.
Insomma, oltre ai due classici episodi di storia moderna ci sono altri innumerevoli casi (anche se non sono tutti completamente indipendenti, perché in qualche modo sono concentrati nel tempo). E partendo proprio da questi casi, i Reinhart e Rogoff hanno rilevato, ad esempio, che nel decennio successivo ad una crisi i tassi medi di crescita annuale del Pil reale pro capite nei paesi avanzati sono inferiori di un punto percentuale, mentre i tassi medi di disoccupazione sono più alti di cinque punti percentuali.
Come si è giunti a questa situazione? Si evince dal loro studio che, in generale, nel decennio che precede tali crisi, i livelli di debito e la leva finanziaria aumentano, spingendo al rialzo i prezzi degli asset per un lungo periodo. Reinhart e Rogoff parlano di una “sindrome del tipo questa volta è diverso” durante il boom pre-crisi, secondo cui tali bolle durano per troppo tempo, perché non si pensa agli episodi passati.
Sembra esserci il germe di una nuova teoria economica nel lavoro dei Reinhart e di Rogoff, ma resta ancora poco chiara. Sembra avere una componente economico-comportamentale, dato che “la sindrome del tipo questa volta è diverso” sembra psicologica piuttosto che razionale, ma non è ancora una teoria così precisa da poter essere presa in considerazione per fare previsioni certe.
Inoltre, ci sono ragioni che suggeriscono che questa volta potrebbe davvero essere diverso. Odio ammetterlo, non volendo commettere il peccato dettato dalla “sindrome”, ma questa volta potrebbe essere diverso perché tutte le crisi moderne del passato sono avvenute in un periodo in cui molti economisti di tutto il mondo decantavano le virtù del modello con “aspettative razionali” dell’economia. Secondo tale modello un’economia di mercato doveva essere lasciata quanto più libera possibile, e questo era ciò a cui ambivano i governi.
Secondo le “aspettative razionali”, le bolle semplicemente non esistevano – il che significava che le bolle in atto potevano continuare a crescere. Ma questa forma mentis sta scemando, e i governi e i leader economici ora ci mettono costantemente in guardia dalle bolle e adottano politiche per contrastarle. Allora, possiamo dire che questa volta è per lo meno un po’ diverso.
Forse, in questo caso, tutte le cattive decadi indotte dalle crisi non fanno più al caso nostro. Ma qualsiasi speranza sul fatto che i postumi dell’odierna crisi si rivelino migliori è ancora nella categoria pensieri, teorie e sogni, e non scienza.
Non è vero che rompere uno specchio porti sette anni di sfortuna. Questa è una superstizione. Se, però, si permette a un mercato finanziario di girare vorticosamente fino a crollare, allora è altamente probabile che si prospettino anni di malessere economico. Questo è un modello storico.