La giusta quota di Mitt Romney

NEW YORK – Le imposte sul reddito di Mitt Romney sono diventate una faccenda di grande rilevanza nell'ambito della campagna per le presidenziali USA. Si tratta solo di politica gretta, o c'è dietro qualcosa d'importante? A dire il vero, qualcosa d'importante c'è, e non riguarda solo gli americani.

Tra i temi al centro del dibattito politico negli Stati Uniti vi sono il ruolo dello Stato e la necessità di un'azione collettiva. Il settore privato, pur giocando un ruolo cruciale, non è in grado di garantire da solo la prosperità di un'economia moderna. La crisi finanziaria cominciata nel 2008 ha dimostrato, ad esempio, che una regolamentazione adeguata è indispensabile.

Oltre che su un'efficace regolamentazione, tesa a garantire, fra l'altro, eque condizioni di concorrenza, le economie moderne si basano sull'innovazione tecnologica, la quale presuppone a sua volta una ricerca finanziata dal governo. Questa è un esempio di bene pubblico, un qualcosa di cui tutti beneficiamo, che però risulterebbe insufficiente o verrebbe addirittura meno se dipendessimo dal settore privato.

I politici conservatori americani sottovalutano l'importanza di avere tecnologie, instrastrutture e un sistema educativo statali. Nei Paesi dove sono i governi a fornire i beni pubblici l'economia funziona assai meglio che dove ciò non avviene.

Ma i beni pubblici hanno un costo, ed è fondamentale che ognuno paghi la sua parte. Se da un lato la definizione di giusta quota può risultare controversa, dall'altro è indubbio che coloro che appartengono alle fasce più abbienti e pagano il 15% del reddito dichiarato (è improbabile che il denaro che confluisce in paradisi fiscali come le Isole Cayman venga denunciato) non stanno pagando la giusta quota.

Secondo un antico detto, il pesce imputridisce dalla testa. Se i presidenti e i membri del loro entourage non pagano la loro giusta quota di tasse, come possiamo sperare che lo facciano tutti gli altri? E se nessuno lo fa, come possiamo pensare di finanziare i beni pubblici di cui abbiamo bisogno?

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Le democrazie si fondano sulla fiducia e sulla collaborazione nel pagare le imposte. Se ogni individuo dedicasse le stesse energie e risorse dei ricchi nell'eludere il proprio dovere di contribuente, il sistema fiscale finirebbe per crollare, oppure verrebbe sostituito da uno schema molto più indiscreto e coercitivo. Entrambe le alternative sono inaccettabili.

Più in generale, un'economia di mercato avrebbe vita breve se per attuare ogni singolo contratto fosse necessaria un'azione legale. Ma lo spirito di fiducia e collaborazione può sopravvivere solo se sorretto dalla convinzione dell'equità del sistema. Studi recenti hanno dimostrato che la percezione dell'ingiustizia del sistema compromette il livello d'impegno e di collaborazione. Eppure, sempre più americani giungono alla conclusione che il loro sistema economico è iniquo, e il sistema fiscale USA è emblematico di questo diffuso senso d'ingiustizia.

L'investitore miliardario Warren Buffett sostiene che sia giusto pagare solo le imposte dovute, ma anche che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema che applica al suo reddito un'aliquota inferiore a quella della sua segretaria. Come dargli torto? Se Romney assumesse una posizione simile sarebbe perdonato, e sarebbe un momento stile "Nixon in China", in grado di cambiare il corso della storia: un ricco uomo politico all'apice del potere che sostiene un aumento delle tasse per i ricchi.

Ma Romney questa scelta non l'ha fatta ed evidentemente non riconosce che un sistema che tassa il lavoro più della speculazione stravolge l'economia. Di fatto, molto del denaro che confluisce nelle tasche dei più abbienti è costituito dalle cosiddette rents (rendite), ed è generato non da un accrescimento della "torta economica", bensì dall'abilità di mettere le mani sulla fetta più grossa.

Tra coloro che occupano la fascia di reddito più alta vi è uno sproporzionato numero di monopolisti che aumentano il proprio reddito limitando la produzione e adottando prassi anticoncorrenziali, direttori generali che sfruttano lacune legislative in tema di governance aziendale per impossessarsi d'ingenti quote di reddito societario, lasciando le briciole ai lavoratori, e banchieri che adottano pratiche predatorie e offensive nell'erogazione di prestiti e carte di credito, spesso ai danni di famiglie non abbienti o del ceto medio. Forse non è un caso che la ricerca di rendita e l'ineguaglianza siano aumentate in concomitanza con la diminuzione delle aliquote d'imposta più alte, lo svuotamento delle regolamentazioni e un certo rilassamento nell'applicazione delle norme vigenti: di contro, l'opportunità e i guadagni derivanti dalla ricerca di rendita sono cresciuti.

Oggi, quasi tutti i paesi avanzati sono colpiti da una carenza di domanda aggregata che determina un alto tasso di disoccupazione, una diminuzione dei salari, una forte ineguaglianza e, a chiusura del circolo vizioso, un consumo vincolato. Sempre di più si riconosce il legame tra ineguaglianza e instabilità e debolezza dell'economia.

Esiste poi un altro circolo vizioso, ed è quello in cui l'ineguaglianza economica si traduce in ineguaglianza politica, che a sua volta rinforza la prima, anche attraverso un sistema fiscale che consente a personaggi come Romney - che insiste di aver corrisposto un'aliquota di "almeno il 13%" negli ultimi dieci anni - di non pagare la loro giusta quota. L'ineguaglianza economica che ne deriva, risultato di forze politiche e di mercato, contribuisce all'odierna debolezza economica generale.

Se Romney è un evasore fiscale potrà stabilirlo soltanto l'agenzia americana delle entrate dopo un'accurata indagine. Tuttavia, visto che il tetto massimo dell'aliquota marginale dell'imposta sul reddito è pari al 35%, egli è certamente un elusore su larga scala. Ed è chiaro che il problema non riguarda soltanto lui, poiché senza dubbio un simile livello di elusione fiscale rende problematico il finanziamento di beni pubblici, senza i quali un'economia moderna non può prosperare.

Un aspetto ancora più importante, tuttavia, è che l'elusione fiscale a questi livelli mina la fiducia nell'equità del sistema, compromettendo così i legami che tengono unita una società.

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