BERKELEY – Nel suo testo classico, The Logic of Collective Action, il grande Mancur Olson ha spiegato che le politiche più difficili da attuare sono quelle con benefici diffusi e costi concentrati. L’argomentazione di Olson era semplice: gli individui che devono farsi carico dei costi di una politica le si opporranno con forza, mentre i beneficiari ne trarranno vantaggio senza sforzo, preferendo che qualcun altro si batta per questo.
L’intuizione di Olson può applicarsi alla sfida politica più urgente che l’umanità deve affrontare oggi, vale a dire il cambiamento climatico. Il punto di partenza per affrontarlo, concordano gli economisti, è una tassa sul carbonio. La conseguente riduzione delle emissioni offrirebbe vantaggi praticamente a tutti sul pianeta. Ma segmenti specifici della società – gli interessi concentrati di Olson – dovranno sostenere una quota sproporzionata dei costi e si mobiliteranno in opposizione.
Un esempio calzante sono i gilets jaunes (“gilet gialli”) francesi. Come ogni movimento di massa, i gilets jaunes avevano molteplici rivendicazioni. Ma la loro protesta più accesa riguardava un aumento della tassa sul carburante imposto in nome della lotta al cambiamento climatico. I residenti delle zone rurali dipendono maggiormente da auto, camion e trattori rispetto agli abitanti delle città, che possono andare al lavoro in bicicletta o metropolitana. L’aumento delle tasse li ha colpiti dove fa più male, nel portafoglio.
Nel 2014, gli interessi diffusi rappresentati nell’AssembleaNazionale francese avevano deciso di aumentare le tasse sul gas. Ma nel 2018, dopo che gli agricoltori ed i loro simpatizzanti hanno chiuso le strade e portato la loro battaglia nelle città, il governo del presidente Emmanuel Macron ha fatto marcia indietro ed ha annullato l’aumento delle tasse. Olson non ne sarebbe stato sorpreso.
Altri paesi possono aspettarsi una resistenza simile, e non solo da parte degli agricoltori. Negli Stati Uniti, l’amministrazione del presidente Joe Biden ha dovuto superare l’opposizione dei pescatori e degli osservatori di balene per approvare un parco eolico offshore vicino a Martha's Vineyard, annullando un progetto più ambizionso al largo di Cape Cod. Possiamo anche aspettarci che l’opposizione ad una tassa sul carbonio sia concentrata a livello regionale. Negli Stati Uniti, ciò significa stati come il Texas, il North Dakota, ed altri che producono petrolio, gas e carbone.
Inoltre, c’è il pericolo che le tasse sul carbonio peggioreranno la polarizzazione politica e provocheranno una reazione populista simile alla risposta allo shock cinese. I lavoratori espulsi dal settore energetico e da quello dei trasporti daranno la colpa alla tassa, anche se le cause profonde sono altrove. I genitori che lottano per sfamare i loro figli e riempire i loro serbatoi di gas respingeranno la tassazione del carbonio come progetto d’élite sostenuto da boriosi ed astratti intellettuali. Lo shock cinese ci ha regalato Donald Trump. Una tassa sul carbonio, imposta che la si voglia o no, potrebbe comportare anche di peggio.
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Ma Olson ha anche suggerito come superare il problema degli interessi concentrati, comprandoli. In parole povere, i proventi di una tassa sul carbonio potrebbero essere ridistribuiti a coloro che ne sostengono i costi. Oltre a consentire la mitigazione del cambiamento climatico, ciò limiterebbe conseguenze politiche indesiderabili.
Sappiamo che la tassazione del carbonio impone costi maggiori ai residenti dei piccoli comuni e delle aree rurali rispetto agli abitanti delle città. Allo stesso modo, le famiglie più povere spendono una quota maggiore del loro reddito per cibo e trasporti, che sono ad alta intensità di carbonio, rispetto alle famiglie più ricche, che spendono di più per servizi più rispettosi dell’ambiente. Uno studio statunitense stima che la quota di reddito assorbita da una carbon tax sarebbe tre volte maggiore per il quintile di reddito più basso rispetto a quello più alto.
Pertanto, un’imposta sul reddito più progressiva che compensi i meno abbienti per l’onere di una carbon tax regressiva potrebbe superare un’opposizione concentrata. (Lo schema dovrebbe includere un’imposta sul reddito negativa per compensare coloro che non guadagnano abbastanza per pagare l’imposta sul reddito). Ma fare politica su queste basi – determinare quanto più progressiva dovrebbe essere una futura imposta sul reddito – richiederà nella pratica un’analisi più complessa delle imposte sul carbonio. E sarà importante collegare in modo esplicito e visibile l’introduzione delle carbon tax alla modifica dell’imposta sul reddito, in modo che la compensazione sia chiara per il pubblico.
C’è poi la questione delle regioni specializzate nella produzione di combustibili ad alta intensità di carbonio. Un’imposta sul reddito più progressiva non risolverà i problemi del Texas, perché le società con sede lì, per non parlare del governo statale, fanno affidamento sulle entrate derivanti dalla produzione di petrolio e gas.
Sia il budget di Biden che il Recovery Fund dell’Unione Europea prevedono misure per scoraggiare la produzione di combustibili a base di carbonio, e per accelerare la transizione verso l’eolico e il solare. L’opposizione che verrà sicuramente dal Texas, e da regioni simili presenti in altri paesi, suggerisce che queste politiche dovrebbero avere una dimensione regionale più importante. Si deve evitare la creazione di nuovi casi come quello della regione degli Appalachi, devastata dal declino dell’occupazione nell’estrazione del carbone.
Sfortunatamente, le esperienze con politiche “place-based” non sono buone. Basta chiedere alla Sicilia. Ma questo non è un consiglio dettato dalla disperazione; è un argomento per impegnarsi di più. I sussidi per portare la banda larga nelle zone rurali, che rischiano di perdere l’aumento dell’occupazione nel settore dei servizi, sarebbero un buon inizio. Più in generale, le politiche regionali, insieme alla tassazione progressiva, saranno un aspetto indispensabile di qualsiasi strategia politicamente valida per combattere il cambiamento climatico.
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BERKELEY – Nel suo testo classico, The Logic of Collective Action, il grande Mancur Olson ha spiegato che le politiche più difficili da attuare sono quelle con benefici diffusi e costi concentrati. L’argomentazione di Olson era semplice: gli individui che devono farsi carico dei costi di una politica le si opporranno con forza, mentre i beneficiari ne trarranno vantaggio senza sforzo, preferendo che qualcun altro si batta per questo.
L’intuizione di Olson può applicarsi alla sfida politica più urgente che l’umanità deve affrontare oggi, vale a dire il cambiamento climatico. Il punto di partenza per affrontarlo, concordano gli economisti, è una tassa sul carbonio. La conseguente riduzione delle emissioni offrirebbe vantaggi praticamente a tutti sul pianeta. Ma segmenti specifici della società – gli interessi concentrati di Olson – dovranno sostenere una quota sproporzionata dei costi e si mobiliteranno in opposizione.
Un esempio calzante sono i gilets jaunes (“gilet gialli”) francesi. Come ogni movimento di massa, i gilets jaunes avevano molteplici rivendicazioni. Ma la loro protesta più accesa riguardava un aumento della tassa sul carburante imposto in nome della lotta al cambiamento climatico. I residenti delle zone rurali dipendono maggiormente da auto, camion e trattori rispetto agli abitanti delle città, che possono andare al lavoro in bicicletta o metropolitana. L’aumento delle tasse li ha colpiti dove fa più male, nel portafoglio.
Nel 2014, gli interessi diffusi rappresentati nell’AssembleaNazionale francese avevano deciso di aumentare le tasse sul gas. Ma nel 2018, dopo che gli agricoltori ed i loro simpatizzanti hanno chiuso le strade e portato la loro battaglia nelle città, il governo del presidente Emmanuel Macron ha fatto marcia indietro ed ha annullato l’aumento delle tasse. Olson non ne sarebbe stato sorpreso.
Altri paesi possono aspettarsi una resistenza simile, e non solo da parte degli agricoltori. Negli Stati Uniti, l’amministrazione del presidente Joe Biden ha dovuto superare l’opposizione dei pescatori e degli osservatori di balene per approvare un parco eolico offshore vicino a Martha's Vineyard, annullando un progetto più ambizionso al largo di Cape Cod. Possiamo anche aspettarci che l’opposizione ad una tassa sul carbonio sia concentrata a livello regionale. Negli Stati Uniti, ciò significa stati come il Texas, il North Dakota, ed altri che producono petrolio, gas e carbone.
Inoltre, c’è il pericolo che le tasse sul carbonio peggioreranno la polarizzazione politica e provocheranno una reazione populista simile alla risposta allo shock cinese. I lavoratori espulsi dal settore energetico e da quello dei trasporti daranno la colpa alla tassa, anche se le cause profonde sono altrove. I genitori che lottano per sfamare i loro figli e riempire i loro serbatoi di gas respingeranno la tassazione del carbonio come progetto d’élite sostenuto da boriosi ed astratti intellettuali. Lo shock cinese ci ha regalato Donald Trump. Una tassa sul carbonio, imposta che la si voglia o no, potrebbe comportare anche di peggio.
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Ma Olson ha anche suggerito come superare il problema degli interessi concentrati, comprandoli. In parole povere, i proventi di una tassa sul carbonio potrebbero essere ridistribuiti a coloro che ne sostengono i costi. Oltre a consentire la mitigazione del cambiamento climatico, ciò limiterebbe conseguenze politiche indesiderabili.
Sappiamo che la tassazione del carbonio impone costi maggiori ai residenti dei piccoli comuni e delle aree rurali rispetto agli abitanti delle città. Allo stesso modo, le famiglie più povere spendono una quota maggiore del loro reddito per cibo e trasporti, che sono ad alta intensità di carbonio, rispetto alle famiglie più ricche, che spendono di più per servizi più rispettosi dell’ambiente. Uno studio statunitense stima che la quota di reddito assorbita da una carbon tax sarebbe tre volte maggiore per il quintile di reddito più basso rispetto a quello più alto.
Pertanto, un’imposta sul reddito più progressiva che compensi i meno abbienti per l’onere di una carbon tax regressiva potrebbe superare un’opposizione concentrata. (Lo schema dovrebbe includere un’imposta sul reddito negativa per compensare coloro che non guadagnano abbastanza per pagare l’imposta sul reddito). Ma fare politica su queste basi – determinare quanto più progressiva dovrebbe essere una futura imposta sul reddito – richiederà nella pratica un’analisi più complessa delle imposte sul carbonio. E sarà importante collegare in modo esplicito e visibile l’introduzione delle carbon tax alla modifica dell’imposta sul reddito, in modo che la compensazione sia chiara per il pubblico.
C’è poi la questione delle regioni specializzate nella produzione di combustibili ad alta intensità di carbonio. Un’imposta sul reddito più progressiva non risolverà i problemi del Texas, perché le società con sede lì, per non parlare del governo statale, fanno affidamento sulle entrate derivanti dalla produzione di petrolio e gas.
Sia il budget di Biden che il Recovery Fund dell’Unione Europea prevedono misure per scoraggiare la produzione di combustibili a base di carbonio, e per accelerare la transizione verso l’eolico e il solare. L’opposizione che verrà sicuramente dal Texas, e da regioni simili presenti in altri paesi, suggerisce che queste politiche dovrebbero avere una dimensione regionale più importante. Si deve evitare la creazione di nuovi casi come quello della regione degli Appalachi, devastata dal declino dell’occupazione nell’estrazione del carbone.
Sfortunatamente, le esperienze con politiche “place-based” non sono buone. Basta chiedere alla Sicilia. Ma questo non è un consiglio dettato dalla disperazione; è un argomento per impegnarsi di più. I sussidi per portare la banda larga nelle zone rurali, che rischiano di perdere l’aumento dell’occupazione nel settore dei servizi, sarebbero un buon inizio. Più in generale, le politiche regionali, insieme alla tassazione progressiva, saranno un aspetto indispensabile di qualsiasi strategia politicamente valida per combattere il cambiamento climatico.