OSLO – Dopo l’abdicazione dell’Imperatore Akihito, il Giappone ha annunciato l’inizio di una nuova era imperiale denominata Reiwa (“bella armonia”). Se, però, l’era Reiwa vorrà essere degna di questo nome, il governo giapponese dovrà seguire l’esempio degli investitori e dei servizi nel campo dell’energia del paese e cominciare ad abbandonare il carbone puntando invece alle energie rinnovabili.
La scelta tra continuare a sprecare capitali nell’industria del carbone, dannosa per l’ambiente, nei prossimi decenni e, d’altro canto, inaugurare una nuova era di energia pulita che sfrutti l’enorme potenziale solare ed eolico del Giappone dovrebbe essere scontata. È stato ripetutamente dimostrato che la tecnologia utilizzata per la cattura del carbonio è ben lontana dal fornire carbone “pulito”. Anche in presenza di centrali a carbone a elevata efficienza, verrebbero superati i livelli di emissioni concordati a livello internazionale, con conseguenze devastanti per il pianeta e il benessere delle persone.
Alcune potenti lobby giapponesi legate all’organizzazione economica Keidanren, però, continuano a difendere il carbone, esercitando una pressione cui il governo giapponese sembra incapace di resistere. Attualmente il Giappone è l’unico paese del G7 che sta aumentando la propria capacità di produzione energetica locale basata sul carbone, con circa 45 nuovi impianti in via di realizzazione dal 2017. Inoltre, insieme alla Cina e alla Corea del Sud, esso è tra i principali finanziatori di progetti incentrati sul carbone importato dall’estero.
Eppure, sebbene il governo giapponese continui a pianificare un futuro basato sui combustibili fossili sfruttando il mito del carbone pulito, i suoi investitori privati sono sempre più contrari al suo utilizzo. Le multinazionali Mitsui & Co. e Sojitz hanno aperto la via in tal senso iniziando, già nel 2016, a limitare i nuovi investimenti nel carbone per motivi di sostenibilità nel lungo periodo e rischi per l’ambiente. Più di recente, Sojitz ha annunciato la propria intenzione di disinvestire da progetti basati sul carbone.
Come ha evidenziato l’Istituto per l’economia e l’analisi finanziaria dell’energia (IEEFA), questo allontanamento dal carbone ha ricevuto un forte impulso l’anno scorso. Tre delle maggiori società assicurative giapponesi – Dai-ichi Life, Nippon Life e Meiji Yasuda Life – hanno annunciato di non voler più stipulare polizze inerenti progetti basati sul carbone. La Sumitomo Mitsui Trust Bank è la prima banca giapponese ad aver sospeso i prestiti per le nuove centrali a carbone nel mondo, mentre altre importanti banche hanno introdotto norme restrittive su tali finanziamenti. Inoltre, nel mese di dicembre, la Mitsubishi Corporation ha ceduto la propria quota in due miniere di carbone australiane, abbandonando del tutto l’importazione di carbone termico.
Da allora, varie società fornitrici di servizi – tra cui Chugoku Electric Power, JFE Steel, Kyushu Electric Power, Tokyo Gas, Idemitsu Kosan e, più recentemente, Osaka Gas – hanno fermato dei progetti per la costruzione di centrali a carbone. Dei cinquanta nuovi impianti pianificati nel 2012, tredici sono già stati smantellati negli ultimi due anni.
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Secondo Yukari Takamura, docente dell’Istituto per le iniziative future dell’Università di Tokyo, la combinazione tra le restrizioni più rigide imposte dalle grandi banche giapponesi sui finanziamenti per il carbone e gli appelli delle principali imprese industriali a favore di un’energia più verde ha esercitato notevoli pressioni sugli investitori. Tale processo sta creando un potente effetto valanga.
Nel frattempo, il governo giapponese sta perdendo sempre più terreno. Per rimettersi al passo, farebbe bene a prendere spunto dalla Norvegia che, come il Giappone, ha un fondo pensionistico governativo leader a livello mondiale, con un patrimonio superiore a mille miliardi di dollari.
Il ministero delle finanze norvegese ha da poco annunciato l’intenzione di disinvestire altri quattro miliardi di dollari dal carbone, che ha cominciato ad abbandonare nel 2015, e d’investire fino al 2% del suo portafoglio globale, ovvero oltre venti miliardi di dollari, in progetti per l’energia solare ed eolica, e altre fonti rinnovabili. Questa mossa scaturisce da un’analisi commissionata dal governo, secondo cui il mercato mondiale delle infrastrutture energetiche rinnovabili toccherà quota 4,2 trilioni di dollari entro il 2030, soprattutto grazie all’energia solare ed eolica.
Anziché permettere che il Giappone resti indietro, il Government Pension Investment Fund, il fondo pensione dei dipendenti pubblici giapponesi, dovrebbe perseguire un obiettivo analogo. Considerate le dimensioni dei rispettivi fondi pensione e la portata dei loro collegamenti internazionali, il Giappone e la Norvegia potrebbero contribuire a guidare il cambiamento nell’ambito delle politiche energetiche a livello mondiale.
Da un punto di vista politico, l’impulso verso tale cambiamento si sta già rafforzando, e un esempio è la spinta crescente verso un Green New Deal, una serie di riforme economiche e di progetti di opere pubbliche che potrebbe gettare le basi per una nuova economia sostenibile. Negli Stati Uniti, alcuni politici progressisti, come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, si stanno dando da fare per collocare le loro ambiziose proposte in cima all’agenda politica. L’idea sta prendendo quota anche in Europa, soprattutto nel Regno Unito e in Spagna.
Questa è una risposta alle crescenti richieste da parte dei cittadini – sia alle urne che nelle piazze – di accelerare l’abbandono dei combustibili fossili. Fino a poco tempo fa, gruppi impegnati in un’azione diretta, come Extinction Rebellion, sarebbero stati liquidati come “estremisti” del clima. Lo scorso mese, invece, alcuni attivisti hanno paralizzato il traffico con manifestazioni in tutta la City di Londra per richiamare l’attenzione sul ruolo del settore finanziario nel favorire il cambiamento climatico, un segno di disobbedienza pacifica che ha riscosso un ampio consenso pubblico.
I cittadini hanno colto gli avvertimenti lanciati dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico e altre realtà. Temono il caos climatico e, per questo, continueranno a cercare nuovi modi per mettere i propri leader di fronte alle loro responsabilità. Grazie alle loro richieste e alle forze di mercato, la pressione sui governi per attuare una decarbonizzazione vera e propria continuerà ad aumentare.
Il Giappone è un colosso degli investimenti a livello globale, e un membro importante della comunità internazionale. In vista del vertice del G20, che si terrà il mese prossimo a Osaka, dovrebbe sbarazzarsi delle lobby consolidate e assumere un ruolo di leader mondiale nel passaggio dal carbone alle fonti rinnovabili.
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OSLO – Dopo l’abdicazione dell’Imperatore Akihito, il Giappone ha annunciato l’inizio di una nuova era imperiale denominata Reiwa (“bella armonia”). Se, però, l’era Reiwa vorrà essere degna di questo nome, il governo giapponese dovrà seguire l’esempio degli investitori e dei servizi nel campo dell’energia del paese e cominciare ad abbandonare il carbone puntando invece alle energie rinnovabili.
La scelta tra continuare a sprecare capitali nell’industria del carbone, dannosa per l’ambiente, nei prossimi decenni e, d’altro canto, inaugurare una nuova era di energia pulita che sfrutti l’enorme potenziale solare ed eolico del Giappone dovrebbe essere scontata. È stato ripetutamente dimostrato che la tecnologia utilizzata per la cattura del carbonio è ben lontana dal fornire carbone “pulito”. Anche in presenza di centrali a carbone a elevata efficienza, verrebbero superati i livelli di emissioni concordati a livello internazionale, con conseguenze devastanti per il pianeta e il benessere delle persone.
Alcune potenti lobby giapponesi legate all’organizzazione economica Keidanren, però, continuano a difendere il carbone, esercitando una pressione cui il governo giapponese sembra incapace di resistere. Attualmente il Giappone è l’unico paese del G7 che sta aumentando la propria capacità di produzione energetica locale basata sul carbone, con circa 45 nuovi impianti in via di realizzazione dal 2017. Inoltre, insieme alla Cina e alla Corea del Sud, esso è tra i principali finanziatori di progetti incentrati sul carbone importato dall’estero.
Eppure, sebbene il governo giapponese continui a pianificare un futuro basato sui combustibili fossili sfruttando il mito del carbone pulito, i suoi investitori privati sono sempre più contrari al suo utilizzo. Le multinazionali Mitsui & Co. e Sojitz hanno aperto la via in tal senso iniziando, già nel 2016, a limitare i nuovi investimenti nel carbone per motivi di sostenibilità nel lungo periodo e rischi per l’ambiente. Più di recente, Sojitz ha annunciato la propria intenzione di disinvestire da progetti basati sul carbone.
Come ha evidenziato l’Istituto per l’economia e l’analisi finanziaria dell’energia (IEEFA), questo allontanamento dal carbone ha ricevuto un forte impulso l’anno scorso. Tre delle maggiori società assicurative giapponesi – Dai-ichi Life, Nippon Life e Meiji Yasuda Life – hanno annunciato di non voler più stipulare polizze inerenti progetti basati sul carbone. La Sumitomo Mitsui Trust Bank è la prima banca giapponese ad aver sospeso i prestiti per le nuove centrali a carbone nel mondo, mentre altre importanti banche hanno introdotto norme restrittive su tali finanziamenti. Inoltre, nel mese di dicembre, la Mitsubishi Corporation ha ceduto la propria quota in due miniere di carbone australiane, abbandonando del tutto l’importazione di carbone termico.
Da allora, varie società fornitrici di servizi – tra cui Chugoku Electric Power, JFE Steel, Kyushu Electric Power, Tokyo Gas, Idemitsu Kosan e, più recentemente, Osaka Gas – hanno fermato dei progetti per la costruzione di centrali a carbone. Dei cinquanta nuovi impianti pianificati nel 2012, tredici sono già stati smantellati negli ultimi due anni.
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Secondo Yukari Takamura, docente dell’Istituto per le iniziative future dell’Università di Tokyo, la combinazione tra le restrizioni più rigide imposte dalle grandi banche giapponesi sui finanziamenti per il carbone e gli appelli delle principali imprese industriali a favore di un’energia più verde ha esercitato notevoli pressioni sugli investitori. Tale processo sta creando un potente effetto valanga.
Nel frattempo, il governo giapponese sta perdendo sempre più terreno. Per rimettersi al passo, farebbe bene a prendere spunto dalla Norvegia che, come il Giappone, ha un fondo pensionistico governativo leader a livello mondiale, con un patrimonio superiore a mille miliardi di dollari.
Il ministero delle finanze norvegese ha da poco annunciato l’intenzione di disinvestire altri quattro miliardi di dollari dal carbone, che ha cominciato ad abbandonare nel 2015, e d’investire fino al 2% del suo portafoglio globale, ovvero oltre venti miliardi di dollari, in progetti per l’energia solare ed eolica, e altre fonti rinnovabili. Questa mossa scaturisce da un’analisi commissionata dal governo, secondo cui il mercato mondiale delle infrastrutture energetiche rinnovabili toccherà quota 4,2 trilioni di dollari entro il 2030, soprattutto grazie all’energia solare ed eolica.
Anziché permettere che il Giappone resti indietro, il Government Pension Investment Fund, il fondo pensione dei dipendenti pubblici giapponesi, dovrebbe perseguire un obiettivo analogo. Considerate le dimensioni dei rispettivi fondi pensione e la portata dei loro collegamenti internazionali, il Giappone e la Norvegia potrebbero contribuire a guidare il cambiamento nell’ambito delle politiche energetiche a livello mondiale.
Da un punto di vista politico, l’impulso verso tale cambiamento si sta già rafforzando, e un esempio è la spinta crescente verso un Green New Deal, una serie di riforme economiche e di progetti di opere pubbliche che potrebbe gettare le basi per una nuova economia sostenibile. Negli Stati Uniti, alcuni politici progressisti, come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, si stanno dando da fare per collocare le loro ambiziose proposte in cima all’agenda politica. L’idea sta prendendo quota anche in Europa, soprattutto nel Regno Unito e in Spagna.
Questa è una risposta alle crescenti richieste da parte dei cittadini – sia alle urne che nelle piazze – di accelerare l’abbandono dei combustibili fossili. Fino a poco tempo fa, gruppi impegnati in un’azione diretta, come Extinction Rebellion, sarebbero stati liquidati come “estremisti” del clima. Lo scorso mese, invece, alcuni attivisti hanno paralizzato il traffico con manifestazioni in tutta la City di Londra per richiamare l’attenzione sul ruolo del settore finanziario nel favorire il cambiamento climatico, un segno di disobbedienza pacifica che ha riscosso un ampio consenso pubblico.
I cittadini hanno colto gli avvertimenti lanciati dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico e altre realtà. Temono il caos climatico e, per questo, continueranno a cercare nuovi modi per mettere i propri leader di fronte alle loro responsabilità. Grazie alle loro richieste e alle forze di mercato, la pressione sui governi per attuare una decarbonizzazione vera e propria continuerà ad aumentare.
Il Giappone è un colosso degli investimenti a livello globale, e un membro importante della comunità internazionale. In vista del vertice del G20, che si terrà il mese prossimo a Osaka, dovrebbe sbarazzarsi delle lobby consolidate e assumere un ruolo di leader mondiale nel passaggio dal carbone alle fonti rinnovabili.
Traduzione di Federica Frasca