RIYADH – Il problema della crescente disparità di reddito ha offuscato il Forum economico mondiale 2015 appena conclusosi a Davos. Com'è noto, l'economia degli Stati Uniti è cresciuta in modo significativo negli ultimi tre decenni, mentre il reddito della famiglia media no. L'1% (anzi, lo 0,01%) più benestante della popolazione si è accaparrato la maggior parte dei profitti, una situazione che le società difficilmente potranno tollerare a lungo.
Molti temono che si tratti di un fenomeno globale con cause simili dappertutto, un contetto chiave contenuto nell'acclamato libro di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo. Ma un'asserzione del genere potrebbe essere pericolosamente fuorviante.
È fondamentale fare una distinzione tra disuguaglianza in termini di produttività tra le imprese e disuguale distribuzione del reddito nelle imprese. La tradizionale battaglia tra lavoro e capitale riguarda perlopiù il secondo, con i lavoratori e i proprietari in lotta per aggiudicarsi la loro fetta di torta. Esiste, però, una disuguaglianza sorprendentemente profonda a livello di produttività delle imprese, che significa che le dimensioni della torta possono variare, e di molto. Ciò vale in modo particolare per i paesi in via di sviluppo, dove è facile riscontrare differenze di produttività di coefficiente dieci a livello provinciale o statale, e molto superiori a livello municipale.
Queste due diverse cause di disuguaglianza sono spesso associate, il che genera una certa confusione. Entrambe sono connesse a una caratteristica simile della produzione moderna, e cioè il fatto che essa richiede molti fattori produttivi, o input, complementari. Ciò comprende non solo materie prime e macchinari, che sono trasportabili, ma anche competenze specialistiche, infrastrutture e normative, che non è facile trasferire e che, perciò, hanno bisogno di una collocazione spaziale. La carenza di uno di questi fattori può avere effetti disastrosi sulla produttività.
Tale complementarità rende molte aree del mondo in via di sviluppo inadatte alla produzione moderna, perché carenti dei fattori produttivi fondamentali. Persino nelle città, le aree povere sono così scollegate e mal fornite che il livello di produttività è davvero scarso. Di conseguenza, esistono enormi disparità tra le imprese in termini di efficienza, e quindi nel reddito che possono distribuire.
Date le restrizioni alla produttività, la redistribuzione funge solo da palliativo, non da cura. Per affrontare il problema occorre investire nell'inclusione, fornire alle persone le competenze necessarie e metterle in contatto con gli input e le reti in grado di renderle produttive.
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Il problema è che i paesi poveri non hanno i mezzi per creare un collegamento tra i vari luoghi e i vari fattori produttivi. Essi si trovano a dover scegliere tra collegare qualche luogo alla maggior parte degli input, e raggiungere un'elevata produttività solo lì, oppure collocare pochi input in tutti i luoghi, ottenendo così una scarsa crescita della produttività ovunque. Questo spiega perché lo sviluppo tende a essere disomogeneo.
L'altro problema della produzione moderna è come distribuire il reddito generato da tutti i fattori produttivi complementari. Oggi, la produzione viene realizzata non solo da individui, o team di persone all'interno delle imprese, ma anche da team di imprese, o catene del valore – basti pensare ai titoli di coda in un film contemporaneo. La complementarità crea, dunque, un problema di attribuzione. Come assegnare il merito del prodotto finale? E a chi?
Gli economisti hanno sempre creduto che ogni membro del team è pagato in base al suo costo-opportunità, cioè, al reddito più alto che potrebbe guadagnare se fosse estromesso dalla squadra. In questo contesto, se i mercati sono caratterizzati da ciò che gli economisti chiamano concorrenza perfetta, una volta che il costo-opportunità di tutti i fattori è stato corrisposto, non resta più niente da distribuire. Nella vita reale, però, il team vale più, anzi spesso molto di più del costo-opportunità dei singoli membri.
E chi s'intasca il "surplus del team"? Tradizionalmente, si suppone che esso maturi a favore degli azionisti. Ma l'aumento degli stipendi già elevatissimi dei super manager negli Stati Uniti, documentato da Piketty e altri, potrebbe rivelare la loro capacità di disgregare la squadra se non ottengono una parte del surplus. Del resto, gli amministratori delegati subiscono una drastica riduzione del reddito quando vengono cacciati, il che sta a indicare che erano pagati molto più del loro costo-opportunità.
Nel caso di start-up di successo, il denaro pagato quando esse vengono acquisite o diventano pubbliche va a beneficio di coloro che hanno messo insieme la squadra. Per catene del valore più tradizionali, il surplus tende a convogliarsi verso i fattori produttivi che hanno un maggior potere di mercato. Le scuole di business insegnano agli studenti a catturare il surplus massimo nella catena del valore, concentrandosi su input difficili da fornire per altri, al tempo stesso facendo in modo che altri input siano "mercificati" e, quindi, impossibilitati a catturare più del loro costo-opportunità.
I guadagni non derivano ai più meritevoli. L'ascesa del "capitale", che Piketty registra in Francia e in altri paesi, è causata soprattutto dalla rivalutazione degli immobili, semplicemente perché in un'economia sempre più in rete le buone location aumentano di valore. Come avviene con la terra, l'attuale regime dei diritti di proprietà intellettuale, proteggendo troppo vecchie idee, può dare adito a un potere di mercato che non solo aggrava la disparità di reddito, ma danneggia anche l'innovazione.
Questo significa che le politiche tese a garantire risultati equi dovrebbero basarsi sul possesso o sulla tassazione dei fattori produttivi che catturano il "surplus del team". Un motivo per cui Singapore ha un governo ben finanziato, nonostante le tasse piuttosto basse, è che l'efficacia delle sue politiche ha causato un'impennata del valore delle terre e degli immobili, generando così un notevole flusso di entrate.
Allo stesso modo, la città colombiana di Medellín si finanzia con gli utili della sua prospera impresa di pubblici servizi, che ora è diventata una multinazionale. Secondo l'economista Dani Rodrik, i governi dovrebbero finanziarsi con i dividendi ricavati dagli investimenti in fondi statali di capitali di rischio, socializzando così i guadagni derivanti dall'innovazione.
Certamente, come molti suggeriscono, catturare questo surplus consentirebbe una redistribuzione del reddito, ma il vantaggio sarebbe molto maggiore e più sostenibile se gli utili fossero utilizzati per finanziare l'inclusione. D'altronde, una crescita inclusiva può dar adito a una società più prospera e egualitaria, mentre la redistribuzione rischia di non favorire né l'inclusione né la crescita.
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The United States is not a monarchy, but a federal republic. States and cities controlled by Democrats represent half the country, and they can resist Donald Trump’s overreach by using the tools of progressive federalism, many of which were sharpened during his first administration.
see Democrat-controlled states as a potential check on Donald Trump’s far-right agenda.
Though the United States has long led the world in advancing basic science and technology, it is hard to see how this can continue under President Donald Trump and the country’s ascendant oligarchy. America’s rejection of Enlightenment values will have dire consequences.
predicts that Donald Trump’s second administration will be defined by its rejection of Enlightenment values.
RIYADH – Il problema della crescente disparità di reddito ha offuscato il Forum economico mondiale 2015 appena conclusosi a Davos. Com'è noto, l'economia degli Stati Uniti è cresciuta in modo significativo negli ultimi tre decenni, mentre il reddito della famiglia media no. L'1% (anzi, lo 0,01%) più benestante della popolazione si è accaparrato la maggior parte dei profitti, una situazione che le società difficilmente potranno tollerare a lungo.
Molti temono che si tratti di un fenomeno globale con cause simili dappertutto, un contetto chiave contenuto nell'acclamato libro di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo. Ma un'asserzione del genere potrebbe essere pericolosamente fuorviante.
È fondamentale fare una distinzione tra disuguaglianza in termini di produttività tra le imprese e disuguale distribuzione del reddito nelle imprese. La tradizionale battaglia tra lavoro e capitale riguarda perlopiù il secondo, con i lavoratori e i proprietari in lotta per aggiudicarsi la loro fetta di torta. Esiste, però, una disuguaglianza sorprendentemente profonda a livello di produttività delle imprese, che significa che le dimensioni della torta possono variare, e di molto. Ciò vale in modo particolare per i paesi in via di sviluppo, dove è facile riscontrare differenze di produttività di coefficiente dieci a livello provinciale o statale, e molto superiori a livello municipale.
Queste due diverse cause di disuguaglianza sono spesso associate, il che genera una certa confusione. Entrambe sono connesse a una caratteristica simile della produzione moderna, e cioè il fatto che essa richiede molti fattori produttivi, o input, complementari. Ciò comprende non solo materie prime e macchinari, che sono trasportabili, ma anche competenze specialistiche, infrastrutture e normative, che non è facile trasferire e che, perciò, hanno bisogno di una collocazione spaziale. La carenza di uno di questi fattori può avere effetti disastrosi sulla produttività.
Tale complementarità rende molte aree del mondo in via di sviluppo inadatte alla produzione moderna, perché carenti dei fattori produttivi fondamentali. Persino nelle città, le aree povere sono così scollegate e mal fornite che il livello di produttività è davvero scarso. Di conseguenza, esistono enormi disparità tra le imprese in termini di efficienza, e quindi nel reddito che possono distribuire.
Date le restrizioni alla produttività, la redistribuzione funge solo da palliativo, non da cura. Per affrontare il problema occorre investire nell'inclusione, fornire alle persone le competenze necessarie e metterle in contatto con gli input e le reti in grado di renderle produttive.
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L'altro problema della produzione moderna è come distribuire il reddito generato da tutti i fattori produttivi complementari. Oggi, la produzione viene realizzata non solo da individui, o team di persone all'interno delle imprese, ma anche da team di imprese, o catene del valore – basti pensare ai titoli di coda in un film contemporaneo. La complementarità crea, dunque, un problema di attribuzione. Come assegnare il merito del prodotto finale? E a chi?
Gli economisti hanno sempre creduto che ogni membro del team è pagato in base al suo costo-opportunità, cioè, al reddito più alto che potrebbe guadagnare se fosse estromesso dalla squadra. In questo contesto, se i mercati sono caratterizzati da ciò che gli economisti chiamano concorrenza perfetta, una volta che il costo-opportunità di tutti i fattori è stato corrisposto, non resta più niente da distribuire. Nella vita reale, però, il team vale più, anzi spesso molto di più del costo-opportunità dei singoli membri.
E chi s'intasca il "surplus del team"? Tradizionalmente, si suppone che esso maturi a favore degli azionisti. Ma l'aumento degli stipendi già elevatissimi dei super manager negli Stati Uniti, documentato da Piketty e altri, potrebbe rivelare la loro capacità di disgregare la squadra se non ottengono una parte del surplus. Del resto, gli amministratori delegati subiscono una drastica riduzione del reddito quando vengono cacciati, il che sta a indicare che erano pagati molto più del loro costo-opportunità.
Nel caso di start-up di successo, il denaro pagato quando esse vengono acquisite o diventano pubbliche va a beneficio di coloro che hanno messo insieme la squadra. Per catene del valore più tradizionali, il surplus tende a convogliarsi verso i fattori produttivi che hanno un maggior potere di mercato. Le scuole di business insegnano agli studenti a catturare il surplus massimo nella catena del valore, concentrandosi su input difficili da fornire per altri, al tempo stesso facendo in modo che altri input siano "mercificati" e, quindi, impossibilitati a catturare più del loro costo-opportunità.
I guadagni non derivano ai più meritevoli. L'ascesa del "capitale", che Piketty registra in Francia e in altri paesi, è causata soprattutto dalla rivalutazione degli immobili, semplicemente perché in un'economia sempre più in rete le buone location aumentano di valore. Come avviene con la terra, l'attuale regime dei diritti di proprietà intellettuale, proteggendo troppo vecchie idee, può dare adito a un potere di mercato che non solo aggrava la disparità di reddito, ma danneggia anche l'innovazione.
Questo significa che le politiche tese a garantire risultati equi dovrebbero basarsi sul possesso o sulla tassazione dei fattori produttivi che catturano il "surplus del team". Un motivo per cui Singapore ha un governo ben finanziato, nonostante le tasse piuttosto basse, è che l'efficacia delle sue politiche ha causato un'impennata del valore delle terre e degli immobili, generando così un notevole flusso di entrate.
Allo stesso modo, la città colombiana di Medellín si finanzia con gli utili della sua prospera impresa di pubblici servizi, che ora è diventata una multinazionale. Secondo l'economista Dani Rodrik, i governi dovrebbero finanziarsi con i dividendi ricavati dagli investimenti in fondi statali di capitali di rischio, socializzando così i guadagni derivanti dall'innovazione.
Certamente, come molti suggeriscono, catturare questo surplus consentirebbe una redistribuzione del reddito, ma il vantaggio sarebbe molto maggiore e più sostenibile se gli utili fossero utilizzati per finanziare l'inclusione. D'altronde, una crescita inclusiva può dar adito a una società più prospera e egualitaria, mentre la redistribuzione rischia di non favorire né l'inclusione né la crescita.
Traduzione di Federica Frasca