krauss59_ALBERTO PIZZOLIAFP via Getty Images_draghilagarde Alberto Pizzoli/AFP via Getty Images

Il gradualismo assennato della Bce

STANFORD – Le principali banche centrali del mondo hanno cambiato marcia e annunciato piani per inasprire la politica monetaria. Con una importante eccezione: la Banca centrale europea, che non intende alzare i tassi di interesse nel 2022, pur consapevole dei rischi di inflazione di oggi.

Al contrario, la Federal Reserve statunitense ha già preannunciato tre aumenti dei tassi per il 2022, e la Bank of England ha già alzato il tasso di riferimento principale di 15 punti base. Inoltre, per mantenere la promessa fatta in precedenza di non aumentare i tassi prima della chiusura del bilancio, la Fed punta ad accelerare il programma di liquidazione degli acquisti mensili di asset.

Che la Bce sia forse “morbida sull’inflazione” e occupi un’anomala posizione accomodante tra le principali banche centrali del mondo? Che forse abbia ragione il principale tabloid tedesco Bild a soprannominare la presidente della Bce Christine LagardeMadame Inflation”?

No, assolutamente no. Se, da un lato, la Bild riflette esattamente la tradizionale visione tedesca secondo cui l’inflazione conta per tutto nella politica monetaria della Bce, dall’altro, tale prospettiva è irrimediabilmente obsoleta nell’Europa del 2022.

Lagarde sa che ritirare lo stimolo monetario dopo una crisi possa essere un compito arduo. Un’impennata troppo repentina dei tassi di interesse potrebbe distruggere l’unione monetaria facendo lievitare gli oneri finanziari e soffocando la ripresa di quegli Stati membri fortemente indebitati come Italia, Spagna e Grecia. Gli economisti lo chiamano “rischio di frammentazione”. La frammentazione dell’area valutaria è un problema cronico della zona euro, perché, a differenza della Fed e della Bank of England, entrambe sostenute da un’unica autorità fiscale, la Bce opera con 19 autorità fiscali indipendenti.

Forse questo è quello che aveva in mente Lagarde durante la conferenza stampa di dicembre, dove ha spiegato che il gradualismo è necessario per evitare una “brutale transizione” verso una politica monetaria più restrittiva. Non sorprende che tale dichiarazione abbia provocato una risposta sgarbata da parte del presidente uscente della Bundesbank, tradizionalmente aggressivo, Jens Weidmann. Allo stesso modo, secondo Christian Lindner, il nuovo ministro delle finanze tedesco, Berlino teme che la sensibilità della Bce agli oneri finanziari degli Stati membri fortemente indebitati porti la banca a ritirare lo stimolo troppo lentamente.

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In un certo senso, Lindner ha ragione. Lagarde, infatti, non ha fretta di inasprire la politica monetaria, preoccupata di mantenere intatta l’unione monetaria a fronte di un ridimensionamento dello stimolo. Come un medico responsabile, Lagarde non vuole affrettare il percorso di disintossicazione di un tossicodipendente da una droga potente. E fate attenzione: le politiche di stimolo della Bce hanno avuto un potente effetto sull’economia, che a sua volta è diventata dipendente dalle politiche di stimolo.

Grazie alla sua esperienza politica, Lagarde capisce che in una regione che ha creato un recovery fund da 750 miliardi di euro per tenere insieme l’unione monetaria, una politica monetaria che minacci di dividere l’unione male si accorderebbe con il pubblico. Un approccio di tipo cold-turkey sarebbe sconsiderato tanto politicamente quanto economicamente.

La più grande fonte potenziale di rischio di frammentazione oggi è l’Italia, con i suoi 2,6 mila miliardi di euro di debito pubblico e una lunga storia di instabilità politica. Questa situazione richiede una gestione molto attenta. Finora gli investitori sembrano soddisfatti della leadership del presidente del Consiglio Mario Draghi, ma temono un ritorno dell’instabilità politica nel caso in cui Draghi scegliesse di perseguire la carica di presidente della Repubblica (generalmente un ruolo più cerimoniale) a seguito dell’imminente conclusione del mandato di Sergio Mattarella.

I mercati finanziari hanno già tremato dopo la conferenza stampa di fine anno di Draghi tenutasi a dicembre, quando ha lasciato intendere che la sua permanenza a Palazzo Chigi sarebbe potuta finire presto. Ma gli investitori dovrebbero stare tranquilli, perché c’è solo una piccola possibilità che Draghi diventi il ​​prossimo presidente della Repubblica. Molto probabilmente quanto dichiarato in conferenza stampa è stato una tattica per smentire due dei più grandi sindacati italiani, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) e l’Unione Italiana del Lavoro (UIL), a seguito dello sciopero generale invocato pochi giorni prima del voto parlamentare per approvare una legge di bilancio cruciale. L’astuto ex presidente della Bce tramutatosi in politico sa che a volte non c’è nulla di meglio della minaccia di lasciare per andare avanti.

Va da sé che lo sforzo di Lagarde per gestire il rischio di frammentazione della zona euro sarebbe molto più semplice se il suo predecessore alla guida della Bce restasse in carica al governo fino alla scadenza del suo mandato nel 2023. A mio avviso, Draghi farà così. Ma un ulteriore incoraggiamento da parte di Bruxelles e Berlino potrebbe fare molto per garantire che Draghi rimanga in carica e che la ripresa europea si mantenga sulla giusta strada.
 

Traduzione di Simona Polverino

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