PARIGI – Per quella parte, sempre maggiore, di popolazione mondiale consapevole della minaccia che rappresenta il cambiamento climatico per la propria esistenza, l’inizio del 2017 è stato accompagnato da una certa trepidazione. In realtà, un’ansia collettiva era già palpabile alla Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico tenutasi a Marrakech nel 2016, il cui inizio è coinciso con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
All’epoca, fioccavano congetture su quello che l’elezione di Trump avrebbe significato per gli Usa e per il mondo intero. L’unica cosa abbastanza certa era che avrebbe inciso negativamente sull’impegno formale assunto dall’America nel ridurre le emissioni di gas serra e contrastare gli effetti dannosi del cambiamento climatico.
Nel corso del 2017, sono cominciate ad arrivare alcune risposte alle domande su ciò che un’amministrazione Trump poteva implicare. Ciò che è emerso è che, se da un lato la posizione di Trump è certamente la più potente a livello mondiale per ordinare un attacco militare, dall’altro il suo potere di negare il consenso scientifico sul cambiamento climatico, nonché di opporsi alla transizione globale verso un’economia green, è piuttosto limitato.
A Marrakech, gli ostacoli che Trump avrebbe incontrato erano già evidenti. Le sue critiche all’accordo sul clima di Parigi del 2015 sono state ampiamente respinte, e tutti i paesi partecipanti alla conferenza hanno riaffermato il proprio impegno in favore dell’accordo, con la promessa di continuare a ridurre le emissioni di gas serra a prescindere se Trump avrebbe o meno portato avanti il suo impegno di “annullare Parigi”.
Ovviamente, il dubbio se Trump avrebbe o meno mantenuto la promessa fatta durante la campagna elettorale ha roso come un tarlo i primi mesi del 2017, durante i quali la Casa Bianca ha fatto da scenario a un’autentica soap opera o, per meglio dire, a una farsa interna. A quanto pare, la figlia di Trump, Ivanka, e suo marito, Jared Kushner, erano a favore dell’accordo di Parigi, mentre Scott Pruitt, l’amministratore dell’agenzia per la tutela dell’ambiente (EPA), e i suoi colleghi negazionisti del cambiamento climatico hanno convinto Trump a far uscire gli Usa dall’accordo.
L’annuncio ufficiale, dato il primo giugno, ha sicuramente deluso, ma è stato anche la molla per rilanciare l’impegno per il clima. Nel giro di alcune ore, il governatore dello stato di Washington, Jay Inslee, ha dichiarato: “Abbiamo sentito che il presidente vuole alzare bandiera bianca e arrendersi. Noi, invece, vogliamo gridare al mondo che non ci arrenderemo”. E in risposta alla dichiarazione in cui Trump sosteneva di “essere stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non di Parigi”, il sindaco di Pittsburgh, Bill Peduto, ha annunciato che la “città dell’acciaio” sarebbe passata completamente alle fonti energetiche rinnovabili entro il 2035.
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Il rimprovero verbale di Peduto a Trump ha aperto una finestra su una rivoluzione silenziosa che sta avendo luogo in tutti gli Stati Uniti. Peduto, insieme ad altri 382 sindaci statunitensi, è un membro della coalizione denominata “Sindaci per il clima”, che rappresenta 68 milioni di americani. Allo stesso modo, 14 stati americani, e con essi il territorio devastato dagli uragani di Puerto Rico, si sono uniti per formare l’Alleanza statunitense per il clima. Tutte queste città e questi stati sono intenzionati a dare attuazione al Piano per l’energia pulita dell’era Obama, nonostante gli sforzi di Pruitt per abolirlo. Similmente, più di mille imprese statunitensi hanno promesso di rispettare gli impegni convenuti con l’accordo di Parigi.
Questo trend non riguarda solo gli Stati Uniti. Il presidente cinese Xi Jinping, leader del paese maggior produttore di gas serra al mondo, ha riaffermato l’impegno della Cina a rispettare l’accordo di Parigi, e sta incoraggiando tutti gli altri paesi firmatari a fare lo stesso. In occasione del 19mo congresso nazionale del Partito comunista cinese, tenutosi a ottobre, Jinping ha ribadito che la Cina vuole avere un ruolo guida nella cooperazione internazionale sul cambiamento climatico.
Inoltre, nel mese di luglio di quest’anno, tutti i governi del G20, ad eccezione degli Stati Uniti, hanno firmato una dichiarazione che sottolinea l’importanza e l’irreversibilità dell’accordo di Parigi.
Questa dichiarazione ne riprende un’altra precedente, sottoscritta dai governi tedesco, italiano e francese in risposta all’annuncio di Trump nel mese di giugno. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo “molto spiacevole”, il presidente francese Emmanuel Macron l’ha descritta nel suo discorso in inglese – affinché nessun americano potesse fraintenderlo – come un pericoloso “errore”.
Ancor più importante è il fatto che i governi siano andati oltre le parole, passando ai fatti. Nel mese di ottobre, l’India e l’Ue hanno dato vita a una partnership per sviluppare fonti di energia pulita in base agli obiettivi dell’accordo di Parigi. Inoltre, il Nicaragua e la Siria hanno annunciato la loro intenzione di sottoscriverlo, mettendo così gli Stati Uniti nella posizione di unico paese non aderente. Da quando Trump è stato eletto, 66 paesi – tra cui l’Australia, l’Italia, la Spagna e, malgrado le turbolenze causate dalla Brexit, il Regno Unito – hanno ratificato l’accordo.
Tuttavia, anche se il massiccio sostegno diplomatico all’accordo andrebbe celebrato, non dobbiamo perdere di vista la questione centrale, ovvero le emissioni globali di gas serra, che negli ultimi tre anni si sono effettivamente stabilizzate. Sfortunatamente, però, non siamo neppure lontanamente vicini ai livelli di riduzione necessari.
Se c’è una cosa che il 2017 ha chiarito, è la devastazione che ci aspetta se non faremo di più. Con un’intensità e una frequenza senza precedenti, una serie di uragani ha devastato i paesi caraibici, Houston e la costa del Golfo del Texas, e vaste zone della Florida. Nell’Europa meridionale, in Australia e negli Stati Uniti occidentali, gli incendi boschivi hanno invaso le campagne, provocando vittime e ingenti danni alle proprietà. In Sud America, nel subcontinente indiano e in altre regioni del mondo, ondate di calore, perdita di colture e alluvioni hanno raggiunto livelli critici. E ai poli, le calotte polari hanno continuato a collassare, come testimoniano le drammatiche immagini della spaccatura creatasi nell’enorme piattaforma di ghiaccio Larsen C in Antartide.
Purtroppo, Trump sembra incurante della realtà naturale o economica. Allo stato attuale, l’economia americana ha una capacità occupazione nel settore delle energie rinnovabili doppia rispetto all’industria del carbone, ma è quest’ultima che Trump insiste nel voler sostenere.
Tuttavia, che gli piaccia o no, la crescita del settore delle energie rinnovabili sta cambiando il corso non solo dell’economia statunitense, ma anche delle economie nel resto del mondo. Nel 2017, le rinnovabili sono cresciute più di qualunque altra fonte di energia, e il passaggio alle automobili elettriche ha registrato un’ulteriore accelerazione, con l’annuncio da parte di quasi tutte le principali case automobilistiche di piani per il graduale abbandono dei motori a combustione interna. In tutto il mondo, poi, i rischi del cambiamento climatico stanno diventando un fattore di stimolo agli investimenti infrastrutturali.
Alla Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico tenutasi a Bonn nel mese di novembre di quest’anno, la Cina e l’Ue sono subentrate agli Stati Uniti nel ruolo di leader nell’azione globale per il clima. Nel 2018, l’impatto del cambiamento climatico sarà ancora più evidente, ma altrettanto evidenti e significativi saranno gli sforzi tesi a contrastarlo.
Certamente, se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, questi sforzi dovranno essere molto più ampi e ambiziosi che in passato. Ma, come abbiamo potuto constatare nel 2017, tali obiettivi sono ancora alla nostra portata. Con o senza Trump, il passaggio alle energie rinnovabili sarà irreversibile e stimolerà il cambiamento ovunque, Stati Uniti compresi.
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PARIGI – Per quella parte, sempre maggiore, di popolazione mondiale consapevole della minaccia che rappresenta il cambiamento climatico per la propria esistenza, l’inizio del 2017 è stato accompagnato da una certa trepidazione. In realtà, un’ansia collettiva era già palpabile alla Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico tenutasi a Marrakech nel 2016, il cui inizio è coinciso con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
All’epoca, fioccavano congetture su quello che l’elezione di Trump avrebbe significato per gli Usa e per il mondo intero. L’unica cosa abbastanza certa era che avrebbe inciso negativamente sull’impegno formale assunto dall’America nel ridurre le emissioni di gas serra e contrastare gli effetti dannosi del cambiamento climatico.
Nel corso del 2017, sono cominciate ad arrivare alcune risposte alle domande su ciò che un’amministrazione Trump poteva implicare. Ciò che è emerso è che, se da un lato la posizione di Trump è certamente la più potente a livello mondiale per ordinare un attacco militare, dall’altro il suo potere di negare il consenso scientifico sul cambiamento climatico, nonché di opporsi alla transizione globale verso un’economia green, è piuttosto limitato.
A Marrakech, gli ostacoli che Trump avrebbe incontrato erano già evidenti. Le sue critiche all’accordo sul clima di Parigi del 2015 sono state ampiamente respinte, e tutti i paesi partecipanti alla conferenza hanno riaffermato il proprio impegno in favore dell’accordo, con la promessa di continuare a ridurre le emissioni di gas serra a prescindere se Trump avrebbe o meno portato avanti il suo impegno di “annullare Parigi”.
Ovviamente, il dubbio se Trump avrebbe o meno mantenuto la promessa fatta durante la campagna elettorale ha roso come un tarlo i primi mesi del 2017, durante i quali la Casa Bianca ha fatto da scenario a un’autentica soap opera o, per meglio dire, a una farsa interna. A quanto pare, la figlia di Trump, Ivanka, e suo marito, Jared Kushner, erano a favore dell’accordo di Parigi, mentre Scott Pruitt, l’amministratore dell’agenzia per la tutela dell’ambiente (EPA), e i suoi colleghi negazionisti del cambiamento climatico hanno convinto Trump a far uscire gli Usa dall’accordo.
L’annuncio ufficiale, dato il primo giugno, ha sicuramente deluso, ma è stato anche la molla per rilanciare l’impegno per il clima. Nel giro di alcune ore, il governatore dello stato di Washington, Jay Inslee, ha dichiarato: “Abbiamo sentito che il presidente vuole alzare bandiera bianca e arrendersi. Noi, invece, vogliamo gridare al mondo che non ci arrenderemo”. E in risposta alla dichiarazione in cui Trump sosteneva di “essere stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non di Parigi”, il sindaco di Pittsburgh, Bill Peduto, ha annunciato che la “città dell’acciaio” sarebbe passata completamente alle fonti energetiche rinnovabili entro il 2035.
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Il rimprovero verbale di Peduto a Trump ha aperto una finestra su una rivoluzione silenziosa che sta avendo luogo in tutti gli Stati Uniti. Peduto, insieme ad altri 382 sindaci statunitensi, è un membro della coalizione denominata “Sindaci per il clima”, che rappresenta 68 milioni di americani. Allo stesso modo, 14 stati americani, e con essi il territorio devastato dagli uragani di Puerto Rico, si sono uniti per formare l’Alleanza statunitense per il clima. Tutte queste città e questi stati sono intenzionati a dare attuazione al Piano per l’energia pulita dell’era Obama, nonostante gli sforzi di Pruitt per abolirlo. Similmente, più di mille imprese statunitensi hanno promesso di rispettare gli impegni convenuti con l’accordo di Parigi.
Questo trend non riguarda solo gli Stati Uniti. Il presidente cinese Xi Jinping, leader del paese maggior produttore di gas serra al mondo, ha riaffermato l’impegno della Cina a rispettare l’accordo di Parigi, e sta incoraggiando tutti gli altri paesi firmatari a fare lo stesso. In occasione del 19mo congresso nazionale del Partito comunista cinese, tenutosi a ottobre, Jinping ha ribadito che la Cina vuole avere un ruolo guida nella cooperazione internazionale sul cambiamento climatico.
Inoltre, nel mese di luglio di quest’anno, tutti i governi del G20, ad eccezione degli Stati Uniti, hanno firmato una dichiarazione che sottolinea l’importanza e l’irreversibilità dell’accordo di Parigi.
Questa dichiarazione ne riprende un’altra precedente, sottoscritta dai governi tedesco, italiano e francese in risposta all’annuncio di Trump nel mese di giugno. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo “molto spiacevole”, il presidente francese Emmanuel Macron l’ha descritta nel suo discorso in inglese – affinché nessun americano potesse fraintenderlo – come un pericoloso “errore”.
Ancor più importante è il fatto che i governi siano andati oltre le parole, passando ai fatti. Nel mese di ottobre, l’India e l’Ue hanno dato vita a una partnership per sviluppare fonti di energia pulita in base agli obiettivi dell’accordo di Parigi. Inoltre, il Nicaragua e la Siria hanno annunciato la loro intenzione di sottoscriverlo, mettendo così gli Stati Uniti nella posizione di unico paese non aderente. Da quando Trump è stato eletto, 66 paesi – tra cui l’Australia, l’Italia, la Spagna e, malgrado le turbolenze causate dalla Brexit, il Regno Unito – hanno ratificato l’accordo.
Tuttavia, anche se il massiccio sostegno diplomatico all’accordo andrebbe celebrato, non dobbiamo perdere di vista la questione centrale, ovvero le emissioni globali di gas serra, che negli ultimi tre anni si sono effettivamente stabilizzate. Sfortunatamente, però, non siamo neppure lontanamente vicini ai livelli di riduzione necessari.
Se c’è una cosa che il 2017 ha chiarito, è la devastazione che ci aspetta se non faremo di più. Con un’intensità e una frequenza senza precedenti, una serie di uragani ha devastato i paesi caraibici, Houston e la costa del Golfo del Texas, e vaste zone della Florida. Nell’Europa meridionale, in Australia e negli Stati Uniti occidentali, gli incendi boschivi hanno invaso le campagne, provocando vittime e ingenti danni alle proprietà. In Sud America, nel subcontinente indiano e in altre regioni del mondo, ondate di calore, perdita di colture e alluvioni hanno raggiunto livelli critici. E ai poli, le calotte polari hanno continuato a collassare, come testimoniano le drammatiche immagini della spaccatura creatasi nell’enorme piattaforma di ghiaccio Larsen C in Antartide.
Purtroppo, Trump sembra incurante della realtà naturale o economica. Allo stato attuale, l’economia americana ha una capacità occupazione nel settore delle energie rinnovabili doppia rispetto all’industria del carbone, ma è quest’ultima che Trump insiste nel voler sostenere.
Tuttavia, che gli piaccia o no, la crescita del settore delle energie rinnovabili sta cambiando il corso non solo dell’economia statunitense, ma anche delle economie nel resto del mondo. Nel 2017, le rinnovabili sono cresciute più di qualunque altra fonte di energia, e il passaggio alle automobili elettriche ha registrato un’ulteriore accelerazione, con l’annuncio da parte di quasi tutte le principali case automobilistiche di piani per il graduale abbandono dei motori a combustione interna. In tutto il mondo, poi, i rischi del cambiamento climatico stanno diventando un fattore di stimolo agli investimenti infrastrutturali.
Alla Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico tenutasi a Bonn nel mese di novembre di quest’anno, la Cina e l’Ue sono subentrate agli Stati Uniti nel ruolo di leader nell’azione globale per il clima. Nel 2018, l’impatto del cambiamento climatico sarà ancora più evidente, ma altrettanto evidenti e significativi saranno gli sforzi tesi a contrastarlo.
Certamente, se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, questi sforzi dovranno essere molto più ampi e ambiziosi che in passato. Ma, come abbiamo potuto constatare nel 2017, tali obiettivi sono ancora alla nostra portata. Con o senza Trump, il passaggio alle energie rinnovabili sarà irreversibile e stimolerà il cambiamento ovunque, Stati Uniti compresi.
Traduzione di Federica Frasca