BERKELEY – Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sottolineato che l’andamento del mercato azionario è una conferma del programma economico della sua amministrazione. Ma se è vero che l’indice industriale del Dow Jones è aumentato di circa il 30% dall’insediamento di Trump, la percentuale rispetto alla quale la crescita del mercato può essere legata alle politiche del presidente è incerta. Quello che è sicuro, come ci è stato ricordato recentemente, è che quello che sale può anche scendere.
Nell’interpretare i cali rapidi dei prezzi azionari e il loro impatto, molti potrebbero ripensare al 2008 e alla turbolenza del mercato legata alla bancarotta della Lehman Borthers. Ma un precedente storico più simile alle condizioni attuali è in realtà il lunedì nero, ovvero il 9 ottobre del 1987.
Il lunedì nero è stato un grande dramma con un crollo del prezzo pari al 22,6% che ancora oggi rappresenta il calo più significativo registrato nell’arco di una giornata rispetto all’indice industriale Dow Jones. L’equivalente oggi sarebbe, fate bene attenzione, pari a 6.000 punti rispetto al Dow Jones.
Inoltre, il crollo del 1987 si è verificato a seguito della stretta della politica monetaria da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti. Tra il gennaio e l’ottobre del 1987, la Fed ha infatti spinto in alto il tasso effettivo dei fondi federali di circa 100 punti base aumentando il costo dell’acquisto e delle prese in prestito delle azioni. Per contro, nel periodo precedente all’ottobre del 2008, i tassi di interesse sono scesi rapidamente evidenziando un’economia in fase di peggioramento. Oggi non è più così, pertanto l’analogia migliore è senza dubbio con il contesto del 1987.
Il crollo del 1987 si è poi verificato in un periodo di debolezza del dollaro. Verso la fine della settimana precedente al crollo, il Segretario del Tesoro, James Baker, aveva fatto delle dichiarazioni che furono interpretate come una minaccia di una svalutazione del dollaro. Proprio come l’attuale Segretario del Tesoro Steven Mnuchin a Davos quest’anno, Baker si era lamentato del fatto che i suoi commenti erano stati presi al di fuori del loro contesto. Ma è alquanto indicativo che la svendita del lunedi nero era di fatto iniziata all’estero, nei paesi più esposti agli effetti negativi di un dollaro debole, prima di arrivare a diffondersi negli Stati Uniti.
Infine, anche le negoziazioni algoritmiche hanno svolto un ruolo in questo scenario. Gli algoritmi in questione, sviluppati preso l’Università della California a Berkeley, erano noti come “portafogli assicurativi”. Utilizzando la simulazione al computer per ottimizzare il rapporto cassa/disponibilità, i portafogli assicurativi consigliavano agli investitori di ridurre il peso sul capitale nei mercati in declino per limitare i rischi peggiorativi. Questi modelli hanno quindi incoraggiato gli investitori a vendere in mercati deboli, aumentando in tal modo le oscillazioni dei prezzi.
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Anche se il ruolo dei portafogli assicuratavi è oggetto di discussione, è difficile capire come il mercato possa essere crollato in così grandi percentuali senza una loro influenza. Il sistema di negoziazione degli algoritmi del ventunesimo secolo sarà senza dubbio più complesso, ma può sempre avere conseguenze indesiderate e può aumentare la volatilità.
Nonostante il dramma di Wall Street nel 1987, non c’è stato al tempo un grande impatto sulle attività economiche. La spesa per i consumi ad ottobre era diminuita vertiginosamente a causa degli effetti negativi sulla ricchezza e a causa di una maggiore incertezza, ma si è poi stabilizzata e ripresa in tempi rapidi, mentre la spesa per gli investimenti era rimasta fondamentalmente stabile.
Ma da cosa è dipeso il fatto che le conseguenze negative sono state limitate? Innanzitutto la Federal Reserve, con il suo nuovo presidente Alan Greenspan, aveva allentato la politica monetaria rassicurando gli investitori rispetto al fatto che il crollo non avrebbe provocato problemi di liquidità. Di conseguenza, la volatilità del mercato era poi diminuita, così come l’incertezza ad essa associate, rinforzando la fiducia dei consumatori.
In secondo luogo, il crollo non ha destablizzato sistematicamente tutte le principali istituzioni finanziarie. Le grandi banche centrali avevano infatti utilizzato i cinque anni precedenti allo scoppio della crisi del debito dell’America Latina per rafforzare i loro bilanci. Inoltre, anche se la crisi degli istituti per il credito e il risparmio continuava a fermentare, questi istituti erano troppo piccoli, anche come gruppo, per poter avere un impatto significativo sull’economia.
Quali sarebbero quindi gli effetti di un simile crollo oggi? Attualmente il sistema bancario statunitense sembra sufficientemente solido per assorbire le tensioni. Ma sappiamo bene che le banche che sono sane quando il mercato è in aumento, possono sempre entrare in difficoltà velocemente se la situazione si capovolge. Le azioni del Congresso per indebolire la legge Dodd-Frank, sollevando in tal modo molte banche dal requisito di sottostare a degli stress test con cadenza regolare, suggeriscono che non bisognerebbe dare per scontato questa solidità.
Inoltre, oggi c’è meno margine per tagliare i tassi di interesse rispetto al 1987 quando i fondi della Federal Reserve erano superiori al 6% e il “prime rate” applicato dalle grandi banche era superiore al 9%. Di certo, se il mercato dovesse crollare, la Federal attiverebbe l’opzione “Greenspan-Bernanke Put” fornendo grandi somme di liquidità agli intermediari in difficoltà. Ma rimarrebbe comunque il dubbio rispetto alla capacità della Federal di Jay Powell di rispondere in maniera altrettanto creativa come la Federal di Bernanke nel 2008, fornendo, ad esempio, prestiti reciproci alle banche in difficoltà che non erano suoi membri.
Molto dipenderà dalla reazione del presidente. Trump risponderà come Roosevelt nel 1933 rassicurando l’opinione pubblica e dicendo che l’unica cosa che bisogna temere è la paura? O cercherà qualcuno su cui scaricare la colpa del crollo nel suo indice economico preferito e si scaglierà contro i democratici, i governi stranieri e la Federal? Un presidente che gioca allo scaricabarile non farebbe che aggravare il problema ulteriormente.
As 2018 progresses, business leaders and market participants should – and undoubtedly will – bear in mind that we are moving ever closer to the date when payment for today’s recovery will fall due. The capital market gyrations of recent days suggest that awareness of the inevitable reckoning is already beginning to dawn.
thinks the recent fall in equity prices is a harbinger of a broader economic reckoning to come.
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Over time, as American democracy has increasingly fallen short of delivering on its core promises, the Democratic Party has contributed to the problem by catering to a narrow, privileged elite. To restore its own prospects and America’s signature form of governance, it must return to its working-class roots.
is not surprised that so many voters ignored warnings about the threat Donald Trump poses to US institutions.
Enrique Krauze
considers the responsibility of the state to guarantee freedom, heralds the demise of Mexico’s democracy, highlights flaws in higher-education systems, and more.
BERKELEY – Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sottolineato che l’andamento del mercato azionario è una conferma del programma economico della sua amministrazione. Ma se è vero che l’indice industriale del Dow Jones è aumentato di circa il 30% dall’insediamento di Trump, la percentuale rispetto alla quale la crescita del mercato può essere legata alle politiche del presidente è incerta. Quello che è sicuro, come ci è stato ricordato recentemente, è che quello che sale può anche scendere.
Nell’interpretare i cali rapidi dei prezzi azionari e il loro impatto, molti potrebbero ripensare al 2008 e alla turbolenza del mercato legata alla bancarotta della Lehman Borthers. Ma un precedente storico più simile alle condizioni attuali è in realtà il lunedì nero, ovvero il 9 ottobre del 1987.
Il lunedì nero è stato un grande dramma con un crollo del prezzo pari al 22,6% che ancora oggi rappresenta il calo più significativo registrato nell’arco di una giornata rispetto all’indice industriale Dow Jones. L’equivalente oggi sarebbe, fate bene attenzione, pari a 6.000 punti rispetto al Dow Jones.
Inoltre, il crollo del 1987 si è verificato a seguito della stretta della politica monetaria da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti. Tra il gennaio e l’ottobre del 1987, la Fed ha infatti spinto in alto il tasso effettivo dei fondi federali di circa 100 punti base aumentando il costo dell’acquisto e delle prese in prestito delle azioni. Per contro, nel periodo precedente all’ottobre del 2008, i tassi di interesse sono scesi rapidamente evidenziando un’economia in fase di peggioramento. Oggi non è più così, pertanto l’analogia migliore è senza dubbio con il contesto del 1987.
Il crollo del 1987 si è poi verificato in un periodo di debolezza del dollaro. Verso la fine della settimana precedente al crollo, il Segretario del Tesoro, James Baker, aveva fatto delle dichiarazioni che furono interpretate come una minaccia di una svalutazione del dollaro. Proprio come l’attuale Segretario del Tesoro Steven Mnuchin a Davos quest’anno, Baker si era lamentato del fatto che i suoi commenti erano stati presi al di fuori del loro contesto. Ma è alquanto indicativo che la svendita del lunedi nero era di fatto iniziata all’estero, nei paesi più esposti agli effetti negativi di un dollaro debole, prima di arrivare a diffondersi negli Stati Uniti.
Infine, anche le negoziazioni algoritmiche hanno svolto un ruolo in questo scenario. Gli algoritmi in questione, sviluppati preso l’Università della California a Berkeley, erano noti come “portafogli assicurativi”. Utilizzando la simulazione al computer per ottimizzare il rapporto cassa/disponibilità, i portafogli assicurativi consigliavano agli investitori di ridurre il peso sul capitale nei mercati in declino per limitare i rischi peggiorativi. Questi modelli hanno quindi incoraggiato gli investitori a vendere in mercati deboli, aumentando in tal modo le oscillazioni dei prezzi.
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Nonostante il dramma di Wall Street nel 1987, non c’è stato al tempo un grande impatto sulle attività economiche. La spesa per i consumi ad ottobre era diminuita vertiginosamente a causa degli effetti negativi sulla ricchezza e a causa di una maggiore incertezza, ma si è poi stabilizzata e ripresa in tempi rapidi, mentre la spesa per gli investimenti era rimasta fondamentalmente stabile.
Ma da cosa è dipeso il fatto che le conseguenze negative sono state limitate? Innanzitutto la Federal Reserve, con il suo nuovo presidente Alan Greenspan, aveva allentato la politica monetaria rassicurando gli investitori rispetto al fatto che il crollo non avrebbe provocato problemi di liquidità. Di conseguenza, la volatilità del mercato era poi diminuita, così come l’incertezza ad essa associate, rinforzando la fiducia dei consumatori.
In secondo luogo, il crollo non ha destablizzato sistematicamente tutte le principali istituzioni finanziarie. Le grandi banche centrali avevano infatti utilizzato i cinque anni precedenti allo scoppio della crisi del debito dell’America Latina per rafforzare i loro bilanci. Inoltre, anche se la crisi degli istituti per il credito e il risparmio continuava a fermentare, questi istituti erano troppo piccoli, anche come gruppo, per poter avere un impatto significativo sull’economia.
Quali sarebbero quindi gli effetti di un simile crollo oggi? Attualmente il sistema bancario statunitense sembra sufficientemente solido per assorbire le tensioni. Ma sappiamo bene che le banche che sono sane quando il mercato è in aumento, possono sempre entrare in difficoltà velocemente se la situazione si capovolge. Le azioni del Congresso per indebolire la legge Dodd-Frank, sollevando in tal modo molte banche dal requisito di sottostare a degli stress test con cadenza regolare, suggeriscono che non bisognerebbe dare per scontato questa solidità.
Inoltre, oggi c’è meno margine per tagliare i tassi di interesse rispetto al 1987 quando i fondi della Federal Reserve erano superiori al 6% e il “prime rate” applicato dalle grandi banche era superiore al 9%. Di certo, se il mercato dovesse crollare, la Federal attiverebbe l’opzione “Greenspan-Bernanke Put” fornendo grandi somme di liquidità agli intermediari in difficoltà. Ma rimarrebbe comunque il dubbio rispetto alla capacità della Federal di Jay Powell di rispondere in maniera altrettanto creativa come la Federal di Bernanke nel 2008, fornendo, ad esempio, prestiti reciproci alle banche in difficoltà che non erano suoi membri.
Molto dipenderà dalla reazione del presidente. Trump risponderà come Roosevelt nel 1933 rassicurando l’opinione pubblica e dicendo che l’unica cosa che bisogna temere è la paura? O cercherà qualcuno su cui scaricare la colpa del crollo nel suo indice economico preferito e si scaglierà contro i democratici, i governi stranieri e la Federal? Un presidente che gioca allo scaricabarile non farebbe che aggravare il problema ulteriormente.
Traduzione di Marzia Pecorari