Greek Parliament Dimitrios Sotiriou/ZumaPress

Un nuovo accordo per l’eccesso di debito?

CAMBRIDGE – Il riconoscimento dell’insostenibilità del debito greco da parte del Fondo Monetario Internazionale potrebbe rivelarsi un momento di svolta per il sistema finanziario globale. Chiaramente, le politiche eterodosse volte ad affrontare l’onere del debito elevato devono essere adottate più seriamente, anche in alcuni Paesi avanzati.

Fin dall'inizio della crisi greca, ci sono state fondamentalmente tre scuole di pensiero. In primo luogo, vi è il punto di vista della cosiddetta troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fmi), la quale sostiene che i Paesi della periferia dell’Eurozona gravati dal debito (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna), necessitano di una forte disciplina politica per evitare che una crisi di liquidità a breve termine si trasformi in un problema di insolvenza a lungo termine.

Quello che prescriveva la politica ortodossa era di estendere i prestiti ponte convenzionali a questi Paesi, concedendo così il tempo di risolvere i loro problemi di bilancio e di intraprendere riforme strutturali volte ad accrescere il loro potenziale di crescita a lungo termine. Questo approccio ha "funzionato" in Spagna, Irlanda e Portogallo, ma a costo di recessioni epiche. Inoltre, vi è un elevato rischio di recidiva nel caso in cui si verifichi un calo significativo dell'economia globale. La politica della troika, tuttavia, non è riuscita a stabilizzare e tanto meno a risollevare l'economia della Grecia.

Una seconda scuola di pensiero ritrae la crisi come un problema di liquidità pura, ma, nel peggiore dei casi, vede l'insolvenza a lungo termine come un rischio di uscita dall’euro. Il problema non è che il debito dei Paesi periferici dell’Eurozona è troppo alto, ma che è stato fissato un tetto al debito.

Questa visione anti-austerità ritiene che, anche quando i mercati privati hanno perso ​​totalmente la fiducia nella periferia dell'Europa, il Nord Europa potrebbe facilmente aver risolto il problema tramite l’emissione di Eurobond sostenuti in ultima analisi da parte di tutti (soprattutto tedeschi) i contribuenti dell’Eurozona. Ai Paesi periferici dovrebbe quindi essere consentito non solo di azzerare il proprio debito, ma anche di impegnarsi a pieno sulla politica fiscale anticiclica per tutto il tempo ritenuto necessario dai governi nazionali.

In altre parole, per gli "oppositori dell’austerità", la zona euro ha subito una crisi di competenza, non una crisi di fiducia. Non importa se l’Eurozona non ha nessuna autorità fiscale centrale e solo un’Unione bancaria incompleta. Non importano i problemi morali o di insolvenza. E non importano le riforme strutturali che promuovono la crescita. Tutti i debitori pagheranno i loro debiti in futuro, anche se non sono sempre stati affidabili in passato. In ogni caso, la crescita più rapida del Pil pagherà per tutto, grazie agli elevati moltiplicatori fiscali. L’Europa si è lasciata scappare un’occasione.

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Si tratta di un punto di vista del tutto coerente, ma ingenuo nella sua totale fiducia (ad esempio, negli scritti polemici dell’economista premio Nobel Paul Krugman). Di conseguenza, il punto di vista anti-austerità maschera ipotesi e rischi forti. Infatti, accumulare prestiti sul debito già elevato nella periferia dell’Eurozona ha comportato un rischio rilevante, in particolare quando la crisi è scoppiata.

La corruzione politica, esemplificata dalla “revolving door” tra il governo spagnolo e il settore finanziario, è stata endemica. I mercati del lavoro duali e i monopoli dei mercati dei prodotti ostacolano ancora la crescita, mentre gli oligarchi hanno un potere sproporzionato per proteggere i loro interessi. In realtà, la Germania non avrebbe potuto sottoscrivere tutto il debito della periferia europea senza mettere a rischio la propria solvibilità e affidabilità creditizia, in particolare in assenza di un sistema funzionante di controlli e saldi a livello dell’Eurozona. Le garanzie espansive e senza limiti potrebbero aver funzionato, ma se così non fosse, il marciume economico avrebbe potuto diffondersi dalla periferia al centro.

Un terzo punto di vista è che, vista la massiccia crisi finanziaria, il problema del debito in Europa avrebbe dovuto essere diagnosticato come un problema di insolvenza fin dall'inizio, e trattato con la ristrutturazione del debito e il perdono, aiutato da inflazione moderatamente elevata e riforme strutturali. Questo è stato il mio punto di vista dall'inizio della crisi.

In Irlanda e Spagna, gli obbligazionisti privati, non i contribuenti irlandesi e spagnoli, avrebbero dovuto assumersi la responsabilità dei fallimenti bancari. In Grecia, ci sarebbero dovute essere svalutazioni del debito più veloci e in misura maggiore.

Naturalmente, i governi nazionali avrebbero dovuto utilizzare i fondi dei contribuenti per ricapitalizzare le banche del Nord Europa - soprattutto in Francia e Germania - che hanno prestato troppo alla periferia. E sarebbero stati necessari trasferimenti per ricapitalizzare le banche della periferia. Ma almeno allora il pubblico avrebbe capito la realtà della situazione, mentre le banche ristrutturate e ricapitalizzate sarebbero state in grado di concedere prestiti di nuovo.

Purtroppo, troppi policymaker nelle economie avanzate si sono permessi di ritenere che tali politiche eterodosse sono adatte solo per i mercati emergenti. In effetti, i Paesi avanzati hanno fatto ricorso a politiche eterodosse per ridurre gli eccessi di debito in molte occasioni. La ristrutturazione del debito avrebbe dato all'Europa la molla per ripartire di cui aveva bisogno. Sì, ci sarebbero stati rischi, come il capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard ha fatto notare, ma ne sarebbe valsa la pena.

Allora, qual è la via da seguire? Maggiore integrazione europea, requisiti patrimoniali più severi per le banche e riforme strutturali più profonde, ma a livello locale sono certamente questi gli elementi chiave di qualsiasi soluzione. Ulteriori aiuti alla periferia europea sono ancora estremamente necessari.

Ma, oltre a questo, l'esperienza europea dovrebbe stimolare un ripensamento completo del sistema globale di gestione dei fallimenti di uno stato sovrano. Questo potrebbe significare rivalutare le vecchie proposte del Fondo Monetario Internazionale per un meccanismo di insolvenza sovrana, o trovare il modo di istituzionalizzare la recente presa di posizione del Fondo sul debito greco. Nessuno dà niente per niente in Europa, ma ci sono modi migliori per affrontare il debito insostenibile.

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