SUNSHINE COAST – All’inizio dell’anno, mentre il Covid-19 devastava la città cinese di Wuhan e cominciava ad assediare l’Occidente, avevo segnalato il rischio che la crisi si replicasse in gran parte del mondo in via di sviluppo, con importanti conseguenze a lungo termine per tutti noi. Purtroppo, tale previsione si è rivelata corretta.
Da metà ottobre, l’India si avvia a superare gli Stati Uniti come il paese con il più alto numero di casi Covid-19, mentre l’America Latina ha registrato più decessi di qualunque altra regione al mondo. La Banca mondiale avverte che, solo quest’anno, la pandemia potrebbe precipitare in una condizione di povertà estrema circa 50 milioni di persone in Asia e 30 milioni in Africa. Se così sarà, si tratterà della prima volta in oltre vent’anni che il tasso globale di povertà estrema aumenta.
La crisi legata alla pandemia ha, inoltre, accelerato altri preoccupanti cambiamenti già in corso, come l’escalation delle tensioni tra Usa e Cina, un crescente protezionismo e una ripresa ad alto tenore di carbonio che minaccia di farci retrocedere nella lotta al cambiamento climatico. Tutti questi trend rischiano di rendere gli obiettivi dell’agenda di sviluppo pre-pandemia ancora più difficili da realizzare.
A livello globale, la sfida è garantire che in ogni parte del pianeta le persone vulnerabili siano protette. In caso contrario, ci addentreremo in un mondo assai più pericoloso, e le prospettive di una robusta ripresa economica a livello mondiale saranno drasticamente ridotte.
Per esperienza, so quanto il momento attuale sia importante. Dieci anni fa, pur trovandosi nel mezzo della crisi finanziaria che aveva travolto il mondo, il governo australiano rimase fermo nell’impegno di aumentare il bilancio per gli aiuti esteri fino allo 0,5% del reddito nazionale lordo. Purtroppo, tale intervento venne rimandato e da allora i fondi destinati all’assistenza esterna si sono ridotti a meno della metà di quel target, toccando il loro minimo storico.
Il governo del primo ministro britannico David Cameron ebbe il merito di portare avanti una linea d’azione simile nel 2013, formalizzando – anche nel mezzo dell’austerità che venne dopo – l’impegno verso un obiettivo di aiuti internazionali pari allo 0,7% del reddito nazionale lordo richiesto all’epoca sulla base degli Obiettivi di sviluppo del millennio (Osm) dell’Onu. E ancora prima, all’apice della crisi nell’aprile 2009, il mio governo collaborò con quello del primo ministro britannico Gordon Brown per far sì che le maggiori economie mondiali riconfermassero il proprio impegno a raggiungere gli Osm nonostante la crisi.
Essendo coloro che tengono i cordoni della borsa, i legislatori hanno un ruolo particolarmente importante nel garantire che i governi non perdano di vista gli obiettivi legati all’agenda di sviluppo mentre si affrettano a proteggere le rispettive popolazioni dalle conseguenze devastanti di questa pandemia per la salute e l’economia.
La buona notizia è che alcuni governi, specialmente in Europa, hanno già riconosciuto l’importanza di aumentare i fondi per gli aiuti internazionali in questo momento. Quella cattiva, invece, è che la richiesta del segretario generale delle Nazioni Unite di attivare un fondo di 2 miliardi di dollari per i paesi più poveri non è stata ancora soddisfatta, e che le organizzazioni d’importanza cruciale come Gavi, l’alleanza per i vaccini che aiuta a diffondere i vaccini nei paesi in via di sviluppo, sono ben lontane dal ricevere il supporto di cui hanno bisogno. Fra l’altro, altre necessità legate allo sviluppo, che saranno fondamentali per risolvere la crisi – non ultimo l’acqua e i servizi igienico-sanitari – stanno reclamando maggiore attenzione.
Aumentare gli aiuti allo sviluppo durante la pandemia non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche una strategia intelligente per rafforzare la nostra stessa ripresa economica. Eppure, gli sforzi che alcuni paesi hanno fatto in tal senso sono stati palesemente controbilanciati dalle azioni di altri, in particolare gli Usa, che durante la crisi hanno tagliato i fondi per l’assistenza internazionale, persino a istituzioni di fondamentale importanza come l’Organizzazione mondiale della sanità.
Il problema è che troppo spesso consideriamo gli aiuti esteri come un mero sussidio anziché come un primo passo verso la prosperità. In Australia ho spesso ribadito questo concetto in quanto la ripresa economica del paese dipenderà da quella più ampia di tutta l’Asia. L’Australia, infatti, dipende molto dal commercio regionale, e l’istruzione internazionale è diventata il terzo più grande settore di esportazione: un sesto di tutti gli studenti universitari nel paese proviene da altre zone della regione.
Sotto la leadership del direttore generale Kristalina Georgieva, il Fondo monetario internazionale è stato in prima linea negli sforzi per attutire il colpo assestato dalla pandemia all’economia globale e in particolare alle popolazioni più vulnerabili del pianeta. Forte dell’esperienza della crisi finanziaria globale di un decennio fa, l’Fmi ha già stanziato oltre 100 miliardi di dollari in aiuti finanziari ai paesi in stato di necessità.
Pur così, il sistema finanziario internazionale potrebbe essere ulteriormente riformato per consentirci di puntare a una piena ripresa a livello globale. Ad esempio, dovremmo fare in modo che il maggior sostegno dato oggi all’Fmi non sia considerato un’iniezione una tantum, bensì l’inizio di un impegno a mettere in campo risorse supplementari in una prospettiva di lungo termine. Non meno importante, la distribuzione delle quote di partecipazione dovrà essere riallineata a un certo punto per consentire alle dinamiche economie dei mercati emergenti di avere maggior peso nei processi decisionali dell’Fmi.
Allo stesso tempo, le azioni intraprese dal G20 e da gruppi come il Paris Club restano fondamentali, avendo esse già consentito a oltre 40 paesi di sospendere il rimborso del debito e risparmiato loro la difficile scelta tra sanare debiti e salvare vite umane. Ma la sfida odierna per i finanziatori è capire come fornire aiuti in maniera più sistematica, anziché limitandosi a riaprire il rubinetto una volta che la crisi sembra passata, o quando la loro stessa ripresa economica o interessi interni lo richiedano.
Se usciremo da questa crisi più forti o più deboli dipenderà tanto dalle decisioni dei governi che interessano le rispettive popolazioni quanto da quelle che riguardano persone che vivono altrove. Ora più che mai, i governi devono comportarsi come cittadini del mondo.
Traduzione di Federica Frasca
Una versione più estesa del presente articolo è stata pubblicata di recente dalla rete parlamentare della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.
SUNSHINE COAST – All’inizio dell’anno, mentre il Covid-19 devastava la città cinese di Wuhan e cominciava ad assediare l’Occidente, avevo segnalato il rischio che la crisi si replicasse in gran parte del mondo in via di sviluppo, con importanti conseguenze a lungo termine per tutti noi. Purtroppo, tale previsione si è rivelata corretta.
Da metà ottobre, l’India si avvia a superare gli Stati Uniti come il paese con il più alto numero di casi Covid-19, mentre l’America Latina ha registrato più decessi di qualunque altra regione al mondo. La Banca mondiale avverte che, solo quest’anno, la pandemia potrebbe precipitare in una condizione di povertà estrema circa 50 milioni di persone in Asia e 30 milioni in Africa. Se così sarà, si tratterà della prima volta in oltre vent’anni che il tasso globale di povertà estrema aumenta.
La crisi legata alla pandemia ha, inoltre, accelerato altri preoccupanti cambiamenti già in corso, come l’escalation delle tensioni tra Usa e Cina, un crescente protezionismo e una ripresa ad alto tenore di carbonio che minaccia di farci retrocedere nella lotta al cambiamento climatico. Tutti questi trend rischiano di rendere gli obiettivi dell’agenda di sviluppo pre-pandemia ancora più difficili da realizzare.
A livello globale, la sfida è garantire che in ogni parte del pianeta le persone vulnerabili siano protette. In caso contrario, ci addentreremo in un mondo assai più pericoloso, e le prospettive di una robusta ripresa economica a livello mondiale saranno drasticamente ridotte.
Per esperienza, so quanto il momento attuale sia importante. Dieci anni fa, pur trovandosi nel mezzo della crisi finanziaria che aveva travolto il mondo, il governo australiano rimase fermo nell’impegno di aumentare il bilancio per gli aiuti esteri fino allo 0,5% del reddito nazionale lordo. Purtroppo, tale intervento venne rimandato e da allora i fondi destinati all’assistenza esterna si sono ridotti a meno della metà di quel target, toccando il loro minimo storico.
Il governo del primo ministro britannico David Cameron ebbe il merito di portare avanti una linea d’azione simile nel 2013, formalizzando – anche nel mezzo dell’austerità che venne dopo – l’impegno verso un obiettivo di aiuti internazionali pari allo 0,7% del reddito nazionale lordo richiesto all’epoca sulla base degli Obiettivi di sviluppo del millennio (Osm) dell’Onu. E ancora prima, all’apice della crisi nell’aprile 2009, il mio governo collaborò con quello del primo ministro britannico Gordon Brown per far sì che le maggiori economie mondiali riconfermassero il proprio impegno a raggiungere gli Osm nonostante la crisi.
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Essendo coloro che tengono i cordoni della borsa, i legislatori hanno un ruolo particolarmente importante nel garantire che i governi non perdano di vista gli obiettivi legati all’agenda di sviluppo mentre si affrettano a proteggere le rispettive popolazioni dalle conseguenze devastanti di questa pandemia per la salute e l’economia.
La buona notizia è che alcuni governi, specialmente in Europa, hanno già riconosciuto l’importanza di aumentare i fondi per gli aiuti internazionali in questo momento. Quella cattiva, invece, è che la richiesta del segretario generale delle Nazioni Unite di attivare un fondo di 2 miliardi di dollari per i paesi più poveri non è stata ancora soddisfatta, e che le organizzazioni d’importanza cruciale come Gavi, l’alleanza per i vaccini che aiuta a diffondere i vaccini nei paesi in via di sviluppo, sono ben lontane dal ricevere il supporto di cui hanno bisogno. Fra l’altro, altre necessità legate allo sviluppo, che saranno fondamentali per risolvere la crisi – non ultimo l’acqua e i servizi igienico-sanitari – stanno reclamando maggiore attenzione.
Aumentare gli aiuti allo sviluppo durante la pandemia non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche una strategia intelligente per rafforzare la nostra stessa ripresa economica. Eppure, gli sforzi che alcuni paesi hanno fatto in tal senso sono stati palesemente controbilanciati dalle azioni di altri, in particolare gli Usa, che durante la crisi hanno tagliato i fondi per l’assistenza internazionale, persino a istituzioni di fondamentale importanza come l’Organizzazione mondiale della sanità.
Il problema è che troppo spesso consideriamo gli aiuti esteri come un mero sussidio anziché come un primo passo verso la prosperità. In Australia ho spesso ribadito questo concetto in quanto la ripresa economica del paese dipenderà da quella più ampia di tutta l’Asia. L’Australia, infatti, dipende molto dal commercio regionale, e l’istruzione internazionale è diventata il terzo più grande settore di esportazione: un sesto di tutti gli studenti universitari nel paese proviene da altre zone della regione.
Sotto la leadership del direttore generale Kristalina Georgieva, il Fondo monetario internazionale è stato in prima linea negli sforzi per attutire il colpo assestato dalla pandemia all’economia globale e in particolare alle popolazioni più vulnerabili del pianeta. Forte dell’esperienza della crisi finanziaria globale di un decennio fa, l’Fmi ha già stanziato oltre 100 miliardi di dollari in aiuti finanziari ai paesi in stato di necessità.
Pur così, il sistema finanziario internazionale potrebbe essere ulteriormente riformato per consentirci di puntare a una piena ripresa a livello globale. Ad esempio, dovremmo fare in modo che il maggior sostegno dato oggi all’Fmi non sia considerato un’iniezione una tantum, bensì l’inizio di un impegno a mettere in campo risorse supplementari in una prospettiva di lungo termine. Non meno importante, la distribuzione delle quote di partecipazione dovrà essere riallineata a un certo punto per consentire alle dinamiche economie dei mercati emergenti di avere maggior peso nei processi decisionali dell’Fmi.
Allo stesso tempo, le azioni intraprese dal G20 e da gruppi come il Paris Club restano fondamentali, avendo esse già consentito a oltre 40 paesi di sospendere il rimborso del debito e risparmiato loro la difficile scelta tra sanare debiti e salvare vite umane. Ma la sfida odierna per i finanziatori è capire come fornire aiuti in maniera più sistematica, anziché limitandosi a riaprire il rubinetto una volta che la crisi sembra passata, o quando la loro stessa ripresa economica o interessi interni lo richiedano.
Se usciremo da questa crisi più forti o più deboli dipenderà tanto dalle decisioni dei governi che interessano le rispettive popolazioni quanto da quelle che riguardano persone che vivono altrove. Ora più che mai, i governi devono comportarsi come cittadini del mondo.
Traduzione di Federica Frasca
Una versione più estesa del presente articolo è stata pubblicata di recente dalla rete parlamentare della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.