Federal Reserve Bank of New York_Pavel Ko_Flickr Federal Reserve Bank of New York/Pavel Ko

Il divario azioni-bond

CAMBRIDGE – Come si dovrebbe interpretare il divario tra i massimi registrati dagli indici azionari globali e i minimi raggiunti dai tassi di interesse reali in tutto il mondo? Diverse spiegazioni tentano di trovare un punto di incontro tra questi andamenti, e farlo correttamente è fondamentale per regolare la politica fiscale e monetaria in maniera adeguata.

Le spiegazioni più comuni minimizzano i fattori di rischio in un modo tale che può essere pericolosamente fuorviante. Ad esempio, la teoria della “stagnazione secolare” sostiene che i tassi di interesse bassi mostrano la verità. L’economia globale soffre di un continuo calo della domanda, a cui si può rimediare tramite una crescita sostenuta della spesa pubblica.

Secondo questo punto di vista, i mercati azionari in rialzo riflettono semplicemente una scarsa considerazione dei profitti futuri. Inoltre, la quota profitto del lavoro sembra aver subito un considerevole calo negli ultimi decenni nelle otto maggiori economie mondiali, ad eccezione del Regno Unito. Invece, la quota del capitale sociale è in aumento, il che naturalmente contribuisce ad accrescere il valore delle azioni (anche se i prezzi delle azioni continuano a salire in Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito dove le quote del lavoro hanno cominciato almeno una ripresa ciclica, e dove si potrebbe verificare un rialzo dei tassi di interesse).

I sostenitori della stagnazione secolare affermano che la spesa pubblica come una quota del Pil, che è più che raddoppiata nella maggior parte delle economie avanzate dagli anni ’50, dovrebbe continuare a salire. Anche se si può facilmente concordare sul fatto che gli investimenti del governo ad alto rendimento nell’istruzione e nelle infrastrutture sono particolarmente giustificati oggi, l’idea che la domanda pone dei limiti all’offerta in modo significativo è discutibile. Studi più approfonditi sulla recessione mostrano che i cosiddetti effetti “isteresi” hanno avuto un impatto limitato sulla disoccupazione, almeno negli Stati Uniti.

Un’altra possibile spiegazione del calo dei tassi di interesse è la repressione finanziaria. La Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone, come la Federal Reserve prima di loro, stanno acquistando avidamente bond. Al contempo, una serie di nuovi regolamenti volti a promuovere la stabilità finanziaria stanno obbligando banche, fondi pensione e compagnie di assicurazione a fare scorta di titoli di stato. Pertanto, il calo dei tassi di interesse oggi rappresenta più un riflesso delle distorsioni nei mercati finanziari che delle previsioni di bassa crescita.

I sostenitori della repressione finanziaria vedono essenzialmente i tassi di interesse bassi come una tassa nascosta sugli obbligazionisti, che ricevono un tasso di interesse più basso di quello che riceverebbero altrimenti. Ciò non è necessariamente una cosa negativa, dato che tutte le tasse sono alterate, e che non c’è realmente un modo per affrontare il debito eccessivo di oggi talmente valido che non incida sulla crescita in qualche modo.

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Tuttavia la tassa di repressione finanziaria non è graduale quasi quanto lo sarebbe una più generale tassa sulla ricchezza, dal momento che le famiglie con un reddito basso di solito investono piccole quote del loro patrimonio in azioni. In ogni caso, non è chiaro come può essere vera la repressione finanziaria. Il calo sui rendimenti dei bond si è esteso a un range di debito di gran lunga più ampio del titolo di stato garantito dal governo.

Anche altri fattori stanno contribuendo al fenomeno dei tassi di interesse ultra bassi di oggi. I dati demografici negativi e il calo dell’offerta di lavoro nella maggior parte delle economie avanzate sono innegabilmente importanti. Eppure l’enigma mostra che questo trend ha seguito una strada graduale e prevedibile, mentre il calo dei tassi di interesse è stato più rapido e piuttosto inaspettato (certamente da parte delle banche centrali). Ed è difficile affermare che i dati demografici scoraggianti sono il principale fattore degli elevati prezzi azionari.

Stranamente, i rischi e l’amplificarsi dei timori di ulteriori disagi – non solo un’altra crisi finanziaria, ma anche instabilità politica e pandemie – non sembra avere molto peso nelle attuali discussioni politiche.

Anche se i bond rappresentano a malapena una copertura perfetta contro tali rischi, solitamente battono le azioni (eccetto, forse in casi di conflagrazione globale, quando entrambi se la passano male). Nell’ultimo lavoro con Carmen e Vincent Reinhart, abbiamo dimostrato che anche i relativamente piccoli cambiamenti dei rischi da disastro – ad esempio, un aumento da un normale 2-3% al 3-4% – possono avere come conseguenza un enorme calo dei tassi di interesse globali, portandoli anche in territorio negativo. Ciò può accadere anche se la crescita prevista è forte.

Tuttavia le implicazioni politiche di tale situazione non sono immediate. Se il governo dispone di migliori informazioni e analisi, e ritiene giustamente che il timore delle persone non è giustificato, allora ha naturalmente senso approfittare delle informazioni – emettendo più titoli di debito, ad esempio.

Se, dall’altro lato, le persone hanno ragione sull’aumento dei rischi da disastro, le questioni politiche diventano molto più complesse. Il problema è che il governo probabilmente deve far fronte a elevati costi se si verifica un disastro, il che implica un elevato valore di opzione volto a preservare uno spazio fiscale per quando si presenta la necessità.

L’idea che tassi di interesse iper-bassi sono semplicemente sintomo di una minore domanda o di repressione finanziaria è pericolosamente semplicistica. Sicuramente il timore pubblico amplificato in merito al rischio di una futura catastrofe economica alla luce della crisi finanziaria gioca ancora un ruolo importante, rafforzato dalla persistente fragilità nell’Eurozona e dall’aumento dell’instabilità nei mercati emergenti. Ciò rende il pubblico comprensibilmente più cauto. Ma se i rischi che potrebbero aiutare a spiegare l’andamento dei prezzi dei titoli e dei bond sono reali, anche i policy maker dovrebbero stare attenti a non abbassare la guardia.

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