cda67f0346f86f900c795f0c_m4688c.jpg Barrie Maguire

L’Asia a Rischio Crisi

NEW HAVEN – Le autorità asiatiche erano comprensibilmente soddisfatte nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008- 2009. La crescita nella regione ha subito un brusco rallentamento, come ci si poteva aspettare da economie basate sulle esportazioni che si trovavano a fronteggiare il più forte crollo del commercio mondiale dagli anni trenta. Ma, a parte la notevole eccezione del Giappone che ha sofferto la sua più profonda recessione dell’era moderna, l’Asia è venuta fuori da un periodo straordinariamente pesante in ottima forma.

Questo accadeva allora. Per la seconda volta in meno di quattro anni, l’Asia viene colpita da un imponente sconvolgimento della domanda estera. Questa volta lo shock proviene dall’Europa, dove una furiosa crisi del debito sovrano minaccia di trasformare una live depressione in qualcosa di molto peggio: una possibile uscita della Grecia dall’euro, che potrebbe contagiare tutta l’Eurozona. Un grosso problema per l’Asia.

I legami finanziari e commerciali rendono l’Asia estremamente esposta al malessere europeo e fanno si che nella regione non si possono prendere alla leggera i rischi dovuti ad una crisi del sistema bancario europeo. In mancanza di mercati di capitali ben sviluppati come fonte alternativa  di credito, i canali di finanziamento delle banche sono particolarmente vitali per l’Asia.

Infatti la Asian Development Bank stima che le banche europee finanzino circa il 9 % del totale del credito interno nei paesi asiatici in crescita – tre volte la quota del finanziamento concesso dalle banche con sede negli Stati Uniti. Il ruolo delle banche europee è particolarmente significativo a Singapore e ad Hong Kong – i due più importanti centri della regione. Ciò significa che l’Asia è molto più esposta oggi ad un crisi delle banche estere di quanto non lo fosse dopo il collasso della Lehman Brothers nel 2008, che aveva portato ad un quasi-tracollo  del sistema bancario statunitense.

Gli effetti di trasmissione attraverso i legami commerciali sono altrettanto preoccupanti. Storicamente, gli Stati Uniti sono stati per l’Asia la più grande fonte di domanda estera. Ma quest equilibrio è cambiato nel corso dell’ultimo decennio. Sedotta dalla spettacolare crescita della Cina, la regione ha spostato il centro di crescita delle esportazioni dagli Usa alla Cina.

Ciò appariva una buona mossa. Nel 2010, le spedizioni complessive verso gli Usa e l’ Europa sono crollate al 24% del totale delle esportazioni effettuate dai paesi asiatici in sviluppo – in forte calo rispetto al 34% del 1998-1999. Nel frattempo, nello stesso periodo, la dipendenza dei paesi asiatici dalle esportazioni intraregionali – i flussi commerciali all’interno della regione - si è ampliata notevolmente, dal 36% del totale dell’ importazioni nel1998 al 44% nel 2010.

Introductory Offer: Save 30% on PS Digital
PS_Digital_1333x1000_Intro-Offer1

Introductory Offer: Save 30% on PS Digital

Access every new PS commentary, our entire On Point suite of subscriber-exclusive content – including Longer Reads, Insider Interviews, Big Picture/Big Question, and Say More – and the full PS archive.

Subscribe Now

Sembra che queste cifre dipingano un quadro confortante di un’Asia sempre più autonoma in grado di fronteggiare meglio le scosse provenienti della ricorrenti crisi occidentali. Ma ricerche condotte dal Fondo monetario Internazionale dimostrano che, quando si guarda più in profondità, ci si accorge che il 60-65% di tutti i flussi commerciali nella regione possono essere classificati come “beni intermedi” –componenti che sono fatti in paesi come la Corea e Taiwan, assemblati in Cina, e infine spediti come prodotti finiti verso l’occidente.

Con l’Europa e gli Usa che ancora rappresentano le maggiori quote delle esportazioni cinesi destinate ai mercati finali, non può esserci scampo per gli stretti legami della catena dell’offerta centrata sulla Cina  agli alti e bassi della domanda delle più importanti economie occidentali. Inoltre vi è una svolta importante e preoccupante relativamente a questi legami: la stessa Cina è sempre più rivolta verso l’Europa come fonte più importante di domanda estera. Nel 2007, l’Unione Europea ha superato gli Stati Uniti come il più grande mercato di esportazione cinese. Nel 2010, l’Ue contava per il 20% del totale delle esportazioni cinesi, mentre la quota americana era solo del 18%.

In altre parole, in Asia la catena di approvvigionamento, con il suo fulcro cinese, ha fatto una forte scommessa sul grande esperimento europeo –una scommessa che ora sembra avere un ritorno di fiamma. Infatti in Cina, viene ancora una volta messo in scena uno schema ormai familiare - un rallentamento della crescita interna derivante da crisi nelle economie avanzate dell’occidente. E quello che succede in Cina accadrà nel resto di un’Asia sempre più integrata.

La buona notizia è che, fino ad ora, gli aspetti negativi sono stati contenuti meglio di quanto non fosse avvenuto alla fine del 2008 ed all’inizio del 2009. Allora, le esportazioni cinesi sono passate dall’espansione alla recessione in soli sette mesi –da una crescita del 26% annue nel luglio del 2008  al declino del 27% nel febbraio del 2009. Questa volta, l’aumento annuale delle esportazioni ha rallentato passando dal 20% del 2011 al 5% in aprile 2012 – una significativa decelerazione, certo, ma che si ferma ben al di sotto del precedente totale collasso. Ciò potrebbe cambiare nel caso di una scomposta rottura della zona euro, ma tranne che in quel caso, c’è motivo di essere più ottimisti questa volta.

La cattiva notizia è che l’Asia sembra aver imparato poco dai ripetuti sconvolgimenti della domanda estera. Alla fine, la domanda interna sembra essere l’unica effettiva difesa contro la vulnerabilità esterna. Ma la ragione non è riuscita a costruire un programma di protezione. Al contrario, nel 2010 i consumi privati sono scesi al livello basso da record del 45% del PIL dei paesi asiatici in crescita – dieci punti percentuali in meno dal 2002.  In queste circostanze, l’immunità dagli sconvolgimenti esterni –  o il “disaccoppiamento”, come spesso viene chiamato - sembra fantasiosa.

Come per la maggior parte delle cose in Asia oggi, la China detiene la chiave per offrire la domanda di consumi che manca all’Asia. Il Dodicesimo Piano Quinquennale (2011-15), emanato di recente, possiede tutti gli ingredienti giusti per produrre un cuscinetto fondamentale tra il dinamismo orientale ed i pericoli di un occidente vessato dalla crisi. Ma, come la crisi dell’euro fa si che l’economia cinese rallenti per la seconda volta in tre anni e mezzo, non vi è dubbio che l’attuazione del Piano per il riequilibrio dei consumi sia in ritardo.

Non ci sono oasi di prosperità in un mondo globalizzato soggetto alla crisi. Questo è altrettanto vero per l’Asia, la regione con più rapida crescita al mondo. Con il peggiorare della crisi in Europa, i due canali gemelli dei legami finanziari e commerciali hanno posto le economie asiatiche in una morsa. Il riequilibrio è l’unica via di uscita per la Cina ed i suoi partner dalla catena asiatica dell’offerta. Fintanto che questo non si realizzi, la morsa che attanagli l’Asia continuerà soltanto a inasprirsi.

https://prosyn.org/MzlFLimit