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Come interagire con la Cina

LONDRA – L’ordine mondiale rischia una spaccatura duratura, con gli Stati Uniti e i suoi alleati da una parte e la Cina e i suoi partner dall’altra. Come ha osservato il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen in un evento del Consiglio Atlantico il mese scorso, questo risultato è tutt’altro che desiderabile e gli Stati Uniti devono collaborare con la Cina per prevenirlo. Ma, nel prosieguo del suo discorso, Yellen ha sostenuto azioni che potrebbero contrastare un tale sforzo.

Dal punto di vista di Yellen, gli Stati Uniti dovrebbero approfondire i legami con i paesi che hanno “una forte adesione a una serie di norme e valori su come operare nell’economia globale e su come gestire il sistema economico globale”. A suo avviso, la scelta di partner che sono “impegnati in una serie di valori e principi fondamentali” è la chiave per una cooperazione efficace su questioni importanti.

Ma che fine fanno i paesi con valori e principi differenti? Come può sopravvivere l’architettura istituzionale globale se i paesi limitano l’impegno aperto solo a coloro che vedono il mondo nello stesso modo in cui lo vedono loro? Se l’Occidente escluderà una potenza come la Cina dai suoi accordi multilaterali, alla Cina cosa resterà da fare?

Un approccio migliore con la Cina si baserebbe su tre considerazioni chiave. La prima: il multilateralismo è impossibile senza la Cina. Non solo la Cina è la seconda economia più grande del mondo; ha anche uno dei più grandi sistemi finanziari del mondo, con asset che ammontano quasi al 470% del suo Pil. Il risparmio interno lordo della Cina – pari a circa il 45% del Pil – è altrettanto massiccio.

Inoltre, la Cina è il più grande prestatore bilaterale del mondo e contribuisce in modo sostanziale alle istituzioni finanziarie multilaterali, e non solo a quelle fondate e guidate dall’Occidente. Infatti – e questa è la seconda considerazione – la Cina ha assunto un ruolo importante nell’architettura finanziaria internazionale, sia come membro che come costruttore di istituzioni.

Negli ultimi anni la Cina ha aperto la strada alla creazione di due nuove banche di sviluppo multilaterali regionali. Sia l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) che la New Development Bank (NDB) sono progettate per integrare l’architettura finanziaria internazionale, dimostrando che la Cina può guidare le istituzioni, agire come uno dei principali fornitori di finanziamenti per lo sviluppo ed essere uno “stakeholder responsabile” in un sistema creato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati.

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Ma, in un certo senso, quel sistema sta fallendo in Cina. Al Fondo monetario internazionale, la quota di voto della Cina è del 6,1%, leggermente inferiore al 6,2% del Giappone e ben al di sotto della quota statunitense del 16,5%. Le loro azioni presso la Banca Mondiale sono rispettivamente del 5,4%, 7,28% e 15,5%. Sebbene questo sia chiaramente non in linea con il peso economico della Cina, il ritmo delle riforme è stato lento, anche a causa dell’ostruzionismo americano, un punto ignorato da Yellen quando ha parlato della necessità di modernizzare il Fmi e la Banca mondiale.

Ciò offre ai leader cinesi buone ragioni per considerare altre opzioni, incluso il disaccoppiamento delle istituzioni che guida dal sistema multilaterale esistente e la creazione di nuove istituzioni. Il risultato sarebbe una frammentazione della rete di sicurezza finanziaria globale, che diventerebbe meno reattiva, prevedibile e inclusiva, lasciando inevitabilmente alcuni paesi esposti a rischi sistemici.

La terza considerazione che deve plasmare l’approccio dell’Occidente nei confronti della Cina è la più spinosa: i sistemi economici e politici della Cina – e quindi gli obiettivi e gli incentivi della Cina – differiscono nettamente da quelli dei paesi del G7. Questa è una delle principali fonti di tensione tra l’Occidente e la Cina e una delle ragioni principali per cui funzionari come Yellen sostengono sia più semplice interagire con i paesi “che la pensano allo stesso modo”.

A dire il vero, navigare tra prospettive, ideologie e interessi contrastanti è impegnativo. Ciò è evidente nella guerra della Russia contro l’Ucraina, in cui la Cina si è rifiutata di aderire al G7 nel condannare l’aggressione russa. Ma, per quanto frustrante sia la reticenza della Cina, confrontarsi con i leader del paese non aiuterà le cose, né escluderà la Cina dagli accordi multilaterali.

Invece, i paesi del G7 dovrebbero concentrarsi sull’identificazione di aree di interesse comune dove il rischio di incomprensioni e disaccordi sia basso e cogliere tutte le possibili opportunità di cooperazione. Il cambiamento climatico – e, in particolare, la finanza per il clima – è un esempio ovvio, ma non è certo l’unico. Se da un lato i media occidentali hanno spesso presentato i leader cinesi come intransigenti o addirittura ingannevoli, dall’altro la Cina ha continuato a impegnarsi in modo costruttivo con l’Occidente su una serie di questioni economiche e finanziarie.

Un esempio è la gestione del debito. Alla fine del mese scorso, la Cina è entrata a far parte del comitato dei creditori dello Zambia e si è impegnata nel processo di ristrutturazione del debito del quadro comune del G20. È un buon segno non solo per lo Zambia – il cui carico di debiti ammonta attualmente a quasi 32 miliardi di dollari, ovvero circa il 120% del Pil – ma anche per altri paesi africani fortemente indebitati.

Anche per quanto riguarda la guerra della Russia in Ucraina, c’è una certa convergenza tra posizioni occidentali e cinesi, anche se per ragioni molto diverse. All’inizio di marzo l’AIIB, citando i rischi finanziari, ha congelato tutte le attività con Russia e Bielorussia e l’NDB ha annunciato di aver “sospeso le nuove transazioni in Russia”.

Ciò dimostra che fare appello a valori condivisi non è l’unico modo per convincere i paesi a portare avanti obiettivi condivisi; anche le considerazioni pratiche sono molto potenti. Nel trattare con la Cina, l’Occidente dovrebbe tentare di costruire un dialogo internazionale e una cooperazione politica sulla base di interessi comuni concreti.

Contrariamente alla narrazione prevalente in Occidente, la cooperazione con la Cina è la norma da decenni. Ma se i leader del G7 decidessero di fare dei “valori fondamentali” la base della cooperazione internazionale, le cose potrebbero cambiare. Un’economia globale in cui la Cina e il G7 seguano percorsi separati e non convergenti lascerà entrambe le parti in condizioni peggiori.
 

Traduzione di Simona Polverino

https://prosyn.org/UFQ8ZPtit